Sul finire degli anni '70, sulla costa selvaggia di Capo
Rizzuto, orde di giovani guerrieri, rivoluzionari, alternativi, folli,
utopisti, combattenti per la giustizia, ricercatori della bellezza e
sognatori dell'armonia, venivano a stemperare nel mare e nell'argilla,
l'energia e le tensioni di anni pieni di sogni e di speranze.
Da più di 30 anni questo lembo di spiaggia è sede di un laboratorio
umano e sociale che, nonostante il tempo e le varie gestioni, continua a
rappresentare un'oasi di pace e di ben-essere.... E la Storia
continuerà anche quest'anno! http://www.campingsanpaolo.it/
STAGIONE ARTISTICA --------------------------------------------------------------------------- I LIVE
Dall' 8 al 14 Agosto la Street Swing Band Sotto Alle Casere Vostre --------------------------------------------------------------------------- I DJ SET
Dall'1 al 15 Agosto Enzo Casella 3 - 16 - 17 Agosto DjIguana TheCooker --------------------------------------------------------------------------- LA WEB RADIO
Tutti i giorni, in diretta dal campeggio, i conduttori di www.radiobarrio.it
--------------------------------------------------------------------------- I CORSI E LABORATORI (gratuiti e aperti a tutti i campeggiatori)
- LABORATORIO DI PERCUSSIONI DI RICICLO condotto da Roberto Quagliarella ,assistenza tecnica Lua Omi’ Quagliarella
- LABORATORIO DI DANZA AFROFANTASY condotto da Mavis Castellanos
- LABORATORIO : L'ARTE DEL RICICLO a cura di ECART
- CORSO DI YOGA : Insegnante Anna Maria Battellocchi
- CORSO DI ACROBATICA una esperienza fisica tra gioco e acrobazia con
esercizi di equilibrio in coppia e di gruppo, piramidi umane a cura di
Erica Fierro
- SPETTACOLO CIRCENSE, acrobaziee aeree e danza col fuoco a cura di E.F. --------------------------------------------------------------------------- PER INFO E PRENOTAZIONI TEL AL 328 5824610 (LAURA)
Scorcio di Villa Condoleo in una foto pubblicata dagli organizzatori del Festival Mediterraneo
SUCCESSO COLLETTA ALIMENTARE PER
BAMBINI DI VILLA CONDOLEO
CROTONE – Grande successo della
colletta alimentare organizzata da Forza Nuova, in sostegno dei bambini ospiti
della casa famiglia Villa Condoleo, grande è stata la solidarietà dei crotonesi,
che in 15 giorni di raccolta, hanno portato nella sede del movimento decine di
litri di latte, molti biscotti, vasetti di omogeneizzati e centinaia di
prodotti vari, sia alimentari che per l'igiene.
Le donazioni sono state portate
direttamente in struttura nella serata di ieri, mentre giorno per giorno erano
già stati portati a Villa Condoleo i prodotti surgelati, le scadenze brevi,
alimenti da banco frigo, la carne e le verdure.
Il nostro movimento continua così il
suo impegno nel sociale, ma in particolare siamo soddisfatti di aver dato
autonomia alimentare, seppur per un breve periodo, ad una struttura che ospita
ventiquattro bambini dell'età compresa tra uno e diciassette anni, ricordiamo
che questa storica struttura opera da sessant'anni nella provincia crotonese
aiutando i bambini meno fortunati, ed oggi è vittima di una crisi economica che
non risparmia nessuno, dei ritardi abominevoli nel recepire le rette dei
bambini, di Equitalia e del suo metodo di riscossione che non tiene conto del
sociale. Ringraziamo quanti hanno aderito al nostro appello.
Uno dei tanti comunicati stampa pubblicati
su internet. Questo è del 2012
Scusatemi,
ma ho deciso di farmi qualche nemico, pubblicando le notizie sul Festival
Mediterraneo. Si possono condividere o no le idee politiche degli organizzatori, ma penso che non sia né corretto
né democratico nascondere le notizie su questo evento, come se queste persone
fossero orchi. Sono persone come noi, impegnate politicamente che si riuniscono
per discutere di temi che riguardano tutti. Non lo fanno per sport. So che a Scandale il dibattito è
molto acceso, so che la popolazione è divisa fra pro e contro questa
manifestazione politica di Destra che si
svolgerà a fine giugno, ed è anche difficile prevedere come il paese
reggerà
l’impatto, ma se non la si voleva bisognava pensarci prima. Poi non
bisogna vedere le cose sempre in modo negativo. Non
dimentichiamo che finito il Festival, ci sarà sicuramente per Villa
Condoleo e
Scandale un ritorno di immagine a livello nazionale ed europeo non
indifferente. D’altronde, devo ricordare che se Scandale è conosciuta al
di
fuori del Marchesato di Crotone è dovuto a Don Renato e a Villa
Condoleo, al film
“Il Brigante” girato nel nostro centro storico da Renato Castellani nel
1960
(sono andato già al Centro Sperimentale di Cinematografia di Cinecittà a
vedermi il film restaurato che è più lungo di 34 minuti della versione
precedente, adesso dura 3 ore), e all’indagine sulla Riforma agraria
svolta nel
1955 dal prof. Manlio Rossi Doria per conto dell’UNESCO. Dopo il 29
giugno
dovremo, volenti o nolenti, aggiungere il Festival Mediterraneo 2014.
Approfitto di questa occasione per dire
ai gentili lettori di questo blog che da tanto tempo mi seguono, che per motivi
familiari e di lavoro da settembre, con l’inizio dell’anno scolastico, non
metterò più articoli e foto tutti i giorni ma 2-3 volte a settimana o quando mi
sarà possibile. Un saluto a tutti e forza Scandale.
La canzone ha un’imbastitura metrica molto chiara, con
cinque strofe di cinque versi più la ripetizione ulteriore dell’ultimo verso
nella sesta ed ultima strofa, che fa sì che abbia sei versi. L’impostazione
musicale, per cui con la quarta strofa si sale di un tono, fa sì che la canzone
possa essere divisa in due parti. Divisione sottolineata anche dal testo, con
la ripetizione dello stesso soggetto: “mio
padre” nella prima strofa, “ma mio
padre” nella quarta.
Un’efficace denuncia contro il
neofascismo.“È una delle canzoni di De Gregori dal taglio più apertamente
politico, anche se le strofe più schierate si danno il cambio con altre assai
più evocative, puntando lo sguardo su un bambino che gioca in cortile”[11].
L’intero brano gioca su un’alternanza di soggetti tra il padre e il figlio, che
sono figure simboliche dello ieri e dell’oggi e, sebbene De Gregori canti
soprattutto alla prima persona singolare, si tratta di finzione autobiografica.
Con il padre si parla del passato fascista, con il bambino si parla del
presente minacciato dal neofascismo. Sono “storie di ieri” che si riflettono
nell’oggi, analizzate con un evidenziato distacco storico, più che politico:
benché l’io lirico dica “mio padre”,
al momento di parlare di sé canta in terza persona de “il bambino”.
Prima di parlare del presente, è storicamente necessario
raccontare e spiegare il passato, traendo le responsabilità storiche oggettive
(“la storia dà torto e dà ragione”[12]). La
lezione di De Felice è visibile fin dall’inizio: il fatto che la “storia comune” sia condivisa
dall’intera “generazione” del padre -
e non da un ristretto gruppo di persone - sottolinea un dato oggettivo, se non
una condanna: il fascismo ebbe un’indiscutibile e pressoché totale base di
consensi. “L’affermazione comunista che a quest’epoca la «borghesia italiana»
era stretta attorno al fascismo è indubbiamente, come valutazione
dell’atteggiamento dominante nella stragrande maggioranza sia dei ceti medi sia
della borghesia vera e propria, da accettare in pieno”[13]. Una
storia condivisa e portata avanti con entusiasmo e spontaneità, tant’è vero che
la versione originale della canzone non parlava di “storia”, bensì di “sogno
comune” (come testimoniato dalla versione inedita del ’74 e da quella
pubblicata e cantata da De André nel suo Volume
VIII). L’io lirico, che spesso viene sostituito dal narratore
onnisciente, emette il proprio giudizio nella stessa rappresentazione della
vicenda, con l’uso di due sineddoche[14] :
non si dice che “al cortile parlava”
Mussolini, bensì “la mascella”, il
tratto caratteristico e più banalmente pittoresco del duce; inoltre, si abbassa
il valore delle folle oceaniche che riempivano le piazze, raccontando che non
parlava al popolo o alla piazza, bensì “al
cortile”. Chi sono poi i morti che lo hanno “smentito”? Il verbo “smentire” farebbe pensare ad un’azione
cosciente e voluta, come è stata quella dei partigiani, da“tutta gente che aveva capito” quale erano. Eppure, il fatto che
nella versione originale De Gregori abbia scritto “troppi morti lo hanno TRADITO” ci fa pensare ad altro: il sogno, Mussolini
e il padre sono stati traditi da tutta la gente morta, chi per la follia
suicida della guerra, chi per il terrore illiberale: morti che nella loro
moltitudine costituiscono ironicamente “tutta
gente che aveva capito” e invece non aveva capito nulla.
Cosa fa il bambino, cosa fanno
oggi i piccoli italiani della Repubblica antifascista? Giocano in mezzo alla
natura, sognano, volano, addirittura. Forse, vittime di una coscienza storica
precaria e di una cultura antifascista non sentita nel profondo, vivono nella
più totale inconsapevolezza, dimentichi degli orrori del ventennio. E, nel
frattempo, gli eredi del fascismo si rinnovano, hanno capito che riproporre
l’ideologia alla vecchia maniera non serve a nulla, che “a giocare col nero perdi sempre” (splendida ironia con l’allusione
al gioco degli scacchi). I cavalli di Salò “sono
morti di noia” nel fare i vecchi fascisti duri e puri, vanno rivestiti ed
abbelliti agli occhi della gente, imparano ad usare “facce serene” (come canterà nella quinta strofa) e a riproporre
anche il vecchio tiranno con un aspetto nuovo: “Mussolini ha scritto anche poesie”. Perché poi “i cavalli”? Forse perché è l’animale
che incarna di più, nell’immaginario comune, l’epopea eroica e trionfale che il
fascismo aveva fatto propria? Comunque, non c’è niente da fare: l’io lirico,
che si sdoppia da bambino protagonista a narratore onnisciente, emette ancora
una condanna, più emotiva che storica stavolta, come testimonia il sarcasmo dei
versi 14-15: se Mussolini era un poeta, vuol dire che “i poeti” sono proprio delle “brutte
creature” e, comunque, sono dei truffatori (ritorna il concetto: “lo hanno smentito”).
Tredici
brani che alternano atmosfere jazzistiche e sofisticate escursioni a
melodie italiane. Il tutto dominato dal proverbiale magistero vocale. È
«Selfie», il nuovo album di inediti di Mina. Come d’abitudine i titoli
sono scelti tra la moltitudine di provini che, autori affermati e
debuttanti, le inviano. Tra quelli che firmano i pezzi di «Selfie» c’è
anche Don Backy che ha scritto «Fine», una classica canzone melodica
all’italiana. Mina nel 1967 aveva inciso «L’immensità», nel 1976
nell’album «Singolare» aveva registrato «Nuda» e «Sognando».
I
momenti migliori dell’album - in vendita da domani - sono quelli più
vicini al jazz: come il brano d’apertura, «Questa donna insopportabile»,
una ballad in cui la sua voce vola sulle note e sugli accenti, o la
squisita «Il giocattolo», una bossa in cui all’eleganza del canto fanno
da contraltare assoli di chitarra, sax soprano e perfino di basso.
D’altra parte sarebbe un peccato non mettere in mostra la classe dei
musicisti che suonano nei dischi di Mina, che sono tra i migliori
jazzisti in circolazione.
Con qualche eccezione, i nomi
accreditati alla composizione di canzoni in questo album ruotano intorno
a una ideale «factory» che nel tempo si è costituita intorno a Mina,
tutor curiosa ed esigente, che richiede a musicisti, arrangiatori e
autori eclettismo e versatilità e la capacità di essere pronti a
misurarsi anche con generi e suoni che magari non sono quelli nei quali
sono cresciuti, ma che lei li spinge ad esplorare e ad approfondire. Le
atmosfere vanno dalla canzone melodica all’italiana al funky (che
permette di ascoltare anche accenni a un intenso «growl») con una cura
dei particolari e dei suoni che è ormai un marchio di fabbrica degli
arrangiamenti e della produzione di Massimiliano Pani.
Come
già detto, su tutto domina la voce di Mina, intatta, splendida, agile e
capace di un understatement e di un’ironia che sono il dono riservato
ai grandissimi.
A Massimiliano Pani va riconosciuto il merito di
cucire gli arrangiamenti attorno a questa voce straordinaria,
lasciandola giustamente in primo piano nei brani più tradizionali o
valorizzandone la capacità di essere uno strumento, capace di inserirsi
alla pari nel discorso solistico.
Ai collezionisti interesserà
sapere che già una volta prima di «Selfie» era stata usata l’immagine di
una scimmia per la copertina: nel 1971 per l’album intitolato «Mina».
Quello però era un cucciolo di scimpanzè, quello di «Selfie» è un macaco
giapponese. Per amore della precisione.
Il brano in questione, più di altri, andrebbe considerato
nella sua convergenza di testo-melodia-armonia-arrangiamento-interpretazione.
Grande merito va attribuito a Franco Battiato che, con il suo arrangiamento,
riesce a portare ai massimi livelli il grado di disincanto e lontananza che è
parte effettiva e necessaria del significante di questa canzone.
Una canzone il cui protagonista - che parla in prima persona
-, coinvolto nella grande storia, è un personaggio minore, angolare,
quotidiano: un cuoco della Repubblica Sociale di Salò, nei suoi ultimi giorni.
Attraverso questo espediente letterario, con cui può esimersi dall’esprimere un
giudizio storico, De Gregori riesce in un’impresa titanica: da un lato, riesce
a raccontare la vicenda italiana dei giovani repubblichini e di quella sorta di
“guerra civile” italiana fra il settembre del ’43 e l’aprile del ’45; d’altro
lato, riesce a raccontare la condizione universale di chi, nelle sue piccole
scelte, si trova inconsapevolmente “dalla
parte sbagliata”. Attenzione, “inconsapevolmente” non vuol dire senza
colpa, ma solo senza (piena) consapevolezza. Il cuoco di Salò è una di quelle
persone “grigie” di cui parla Renzo De Felice, che ha vissuto gli anni del
fascismo senza nemmeno accorgersene.
Inconscio di essere testimone della grande storia, il cuoco
di Salò è preso, nella sua genuinità, dalle “donne
bellissime” che gli girano intorno, cantando ed emanando un profumo che lo
fa sognare, mentre lui è intento a preparare loro la colazione. Attrici e
cantanti a cui lui non chiede ragione della loro presenza, ma piuttosto si
concentra sul proprio ruolo: si rammarica di non poter preparare il pesce per
la cena e ribadisce, più a se stesso che ad altri, tra la gente che magari
combatte e perciò non ha tempo di badare a lui, la propria indispensabilità, poiché
“anche in mezzo a un naufragio si deve
mangiare”. “Il cuoco pensa a sé, alla sua vita, al suo lavoro: è lui nella
sua piccola dimensione il centro: tutto il resto che è «la storia» fa da sfondo
e risulta ai suoi occhi come occasionale incidente, ininfluente”[1].
Ma la grande storia fa l’ingresso nella canzone, sempre
dall’ottica del cuoco. Egli non distingue il dato storico, non fa differenza
fra i combattenti, vede come dato unificatore la morte. Ma non è una morte
qualunque: è una morte cercata, eroica in senso epico, anche quella dei
combattenti di Salò. A sottolinearlo sono le trombe che si sentono in
lontananza, ma anche la frase che si pronuncia: “che qui si fa l’Italia e si muore”, citazione di Giuseppe
Garibaldi, cambiata quel poco (cambio della congiunzione da “o” ad “e”)
necessario per cambiare totalmente di senso. È un dato di fatto: questa è
l’Italia, ma ci si ammazza fra italiani, da qualunque parte si stia, e ognuna
delle due parti ritiene di stare facendo il bene del paese (il grido “Viva l’Italia!”
appartiene sia alla cultura fascista che a quella antifascista). La sentenza
storica c’è, però: i repubblichini muoiono “dalla
parte sbagliata”. Non si tratta di una sentenza del cuoco, incosciente e
ingenuamente disinformato, e nemmeno di De Gregori: “Sono loro stessi che in
questo canto dicono di stare dalla parte sbagliata. Credo che questo fosse un
sentimento abbastanza diffuso, forse in maniera più o meno conscia fra coloro
che avevano scelto di militare nella Repubblica Sociale. Sicuramente sapevano
di andare incontro ad una sconfitta storica, non solo ad una sconfitta
militare”[2]. La
canzone esprime una sorta di umana ed universale pietà per tutte le persone
comuni che vengono trascinate e coinvolte in affari più grandi di loro, anche
per i nemici che, con tutta la loro buona volontà e buona fede, lottano per il
proprio ideale, anche se inequivocabilmente sbagliato. La tragedia è ancora
maggiore perché si tratta di italiani contro italiani, sebbene la storiografia
non abbia mai tollerato fino in fondo la visione di quel periodo come “guerra
civile”. “Questa esigenza collimava con la propensione largamente diffusa a
occultare il dato elementare che «anche i fascisti, nonostante tutto, erano
italiani». «Italiani» non rinvia soltanto a un dato etnico. Entrambe le parti
intendevano integrare «il paradigma dello Stato moderno come sovrana unità
politica», poiché entrambe si sentivano rappresentanti dell’Italia intera”[3]. Lo
dice lo stesso De Gregori: “Ecco, ora però il discorso sulla guerra civile o
guerra di liberazione è sempre stato visto male dalla sinistra fino a una
decina d’anni fa. Poi c’è stato il libro molto importante, che sicuramente
alcuni di voi avranno letto, di Claudio Pavone, dove si dice una volta per
tutte, e credo che questo oggi nessuno lo possa contestare, che anche quelli
che combattevano dalla parte dei fascisti, anche i repubblichini, anche quelli
alleati con i tedeschi, erano comunque italiani. Quindi probabilmente avevano
delle motivazioni forti, patriottiche, per compiere quella scelta. Questo
chiaramente non vuol dire giustificarli. Non è la canzone la sede per
giustificare”[4].