Le storie di ieri
da Rimmel (1975)
Mio padre ha una storia comune[1],
condivisa1 dalla sua generazione,
la mascella al cortile parlava:
troppi morti lo hanno smentito[2],
5 tutta gente
che aveva capito.
E il bambino nel cortile sta
giocando:
tira sassi nel cielo e nel mare.
Ogni volta che colpisce una
stella
chiude gli occhi e comincia[3] a
sognare,
10 chiude gli
occhi e comincia3 a volare.
E i cavalli a Salò sono morti di
noia:
a giocare col nero perdi sempre.
Mussolini ha scritto anche
poesie:
i poeti che brutte creature[4],
15 ogni volta
che parlano è una truffa.
Ma mio padre è un ragazzo
tranquillo,
la mattina legge molti giornali:
è convinto di avere delle idee
e suo figlio è una nave pirata
20 e suo figlio
è una nave pirata.
E anche adesso è rimasta una
scritta nera[5],
sopra il muro davanti casa mia:
dice che il Movimento vincerà:
i nuovi capi hanno facce serene[6]
25 e cravatte
intonate[7] alla
camicia.
Ma il bambino nel cortile si è
fermato[8]:
si è stancato di seguire aquiloni[9].
Si è seduto tra i ricordi vicini
e i rumori lontani:
guarda il muro e si guarda le
mani,
30 guarda il
muro e si guarda le mani,
guarda il muro e si guarda le
mani[10].
La canzone ha un’imbastitura metrica molto chiara, con
cinque strofe di cinque versi più la ripetizione ulteriore dell’ultimo verso
nella sesta ed ultima strofa, che fa sì che abbia sei versi. L’impostazione
musicale, per cui con la quarta strofa si sale di un tono, fa sì che la canzone
possa essere divisa in due parti. Divisione sottolineata anche dal testo, con
la ripetizione dello stesso soggetto: “mio
padre” nella prima strofa, “ma mio
padre” nella quarta.
Un’efficace denuncia contro il
neofascismo.“È una delle canzoni di De Gregori dal taglio più apertamente
politico, anche se le strofe più schierate si danno il cambio con altre assai
più evocative, puntando lo sguardo su un bambino che gioca in cortile”[11].
L’intero brano gioca su un’alternanza di soggetti tra il padre e il figlio, che
sono figure simboliche dello ieri e dell’oggi e, sebbene De Gregori canti
soprattutto alla prima persona singolare, si tratta di finzione autobiografica.
Con il padre si parla del passato fascista, con il bambino si parla del
presente minacciato dal neofascismo. Sono “storie di ieri” che si riflettono
nell’oggi, analizzate con un evidenziato distacco storico, più che politico:
benché l’io lirico dica “mio padre”,
al momento di parlare di sé canta in terza persona de “il bambino”.
Prima di parlare del presente, è storicamente necessario
raccontare e spiegare il passato, traendo le responsabilità storiche oggettive
(“la storia dà torto e dà ragione”[12]). La
lezione di De Felice è visibile fin dall’inizio: il fatto che la “storia comune” sia condivisa
dall’intera “generazione” del padre -
e non da un ristretto gruppo di persone - sottolinea un dato oggettivo, se non
una condanna: il fascismo ebbe un’indiscutibile e pressoché totale base di
consensi. “L’affermazione comunista che a quest’epoca la «borghesia italiana»
era stretta attorno al fascismo è indubbiamente, come valutazione
dell’atteggiamento dominante nella stragrande maggioranza sia dei ceti medi sia
della borghesia vera e propria, da accettare in pieno”[13]. Una
storia condivisa e portata avanti con entusiasmo e spontaneità, tant’è vero che
la versione originale della canzone non parlava di “storia”, bensì di “sogno
comune” (come testimoniato dalla versione inedita del ’74 e da quella
pubblicata e cantata da De André nel suo Volume
VIII). L’io lirico, che spesso viene sostituito dal narratore
onnisciente, emette il proprio giudizio nella stessa rappresentazione della
vicenda, con l’uso di due sineddoche[14] :
non si dice che “al cortile parlava”
Mussolini, bensì “la mascella”, il
tratto caratteristico e più banalmente pittoresco del duce; inoltre, si abbassa
il valore delle folle oceaniche che riempivano le piazze, raccontando che non
parlava al popolo o alla piazza, bensì “al
cortile”. Chi sono poi i morti che lo hanno “smentito”? Il verbo “smentire” farebbe pensare ad un’azione
cosciente e voluta, come è stata quella dei partigiani, da“tutta gente che aveva capito” quale erano. Eppure, il fatto che
nella versione originale De Gregori abbia scritto “troppi morti lo hanno TRADITO” ci fa pensare ad altro: il sogno, Mussolini
e il padre sono stati traditi da tutta la gente morta, chi per la follia
suicida della guerra, chi per il terrore illiberale: morti che nella loro
moltitudine costituiscono ironicamente “tutta
gente che aveva capito” e invece non aveva capito nulla.
Cosa fa il bambino, cosa fanno
oggi i piccoli italiani della Repubblica antifascista? Giocano in mezzo alla
natura, sognano, volano, addirittura. Forse, vittime di una coscienza storica
precaria e di una cultura antifascista non sentita nel profondo, vivono nella
più totale inconsapevolezza, dimentichi degli orrori del ventennio. E, nel
frattempo, gli eredi del fascismo si rinnovano, hanno capito che riproporre
l’ideologia alla vecchia maniera non serve a nulla, che “a giocare col nero perdi sempre” (splendida ironia con l’allusione
al gioco degli scacchi). I cavalli di Salò “sono
morti di noia” nel fare i vecchi fascisti duri e puri, vanno rivestiti ed
abbelliti agli occhi della gente, imparano ad usare “facce serene” (come canterà nella quinta strofa) e a riproporre
anche il vecchio tiranno con un aspetto nuovo: “Mussolini ha scritto anche poesie”. Perché poi “i cavalli”? Forse perché è l’animale
che incarna di più, nell’immaginario comune, l’epopea eroica e trionfale che il
fascismo aveva fatto propria? Comunque, non c’è niente da fare: l’io lirico,
che si sdoppia da bambino protagonista a narratore onnisciente, emette ancora
una condanna, più emotiva che storica stavolta, come testimonia il sarcasmo dei
versi 14-15: se Mussolini era un poeta, vuol dire che “i poeti” sono proprio delle “brutte
creature” e, comunque, sono dei truffatori (ritorna il concetto: “lo hanno smentito”).
Intanto, cresce la consapevolezza del figlio, che guarda al
padre (cioè alla generazione precedente), che è un classico “ragazzo tranquillo” di cultura
democristiana, che non si scompone né si avvede di chi torna a ribadire i
concetti del vecchio fascismo. Ma, soprattutto, non si avvede di essere vittima
di un nuovo fascismo incalzante, che non impone le idee in maniera autoritaria,
ma fa sì che queste vengano accettate in maniera totale ed incondizionata dai
cittadini stessi, attraverso i mass media, per esempio. Così, il padre “è convinto di avere delle idee” perché “legge molti giornali” e non capisce
che, in realtà, gliele stanno imprimendo dall’alto. È lo stesso concetto
espresso proprio in quegli anni da Pasolini sulla televisione, dicendo che “nessun
centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della
civiltà dei consumi”[15]. Il
figlio, parziale espressione della nuova generazione, invece è sveglio, si rende
conto di questo fascismo mascherato: non è un ragazzo tranquillo in quanto
fuori dai canoni imposti dal Centro e, per questo, “è una nave pirata”.
Infatti, la quinta strofa è un
chiaro discorso in prima persona del bambino. Vede una scritta che inneggia al
Movimento Sociale[16] sul
muro di fronte casa sua, cioè nelle immediate vicinanze, come a dire che la
minaccia è concreta e tangibile. È diventato consapevole delle “storie di
ieri”, tant’è vero che si stupisce: “e anche
adesso è rimasta una scritta nera”. E riesce anche a cogliere quel
cambio dei cavalli di Salò, che avevano capito che “a giocare col nero”, cioè con il fascismo vecchio stile, si perde
sempre. I vecchi fascisti sono diventati politicamente astuti e si rivestono di
una finta patina di liberalità e democrazia, solo esteticamente: “i nuovi capi hanno facce serene / e
cravatte intonate alla camicia”. È un De Gregori non solo amaramente
sarcastico, ma anche insolitamente chiaro: il riferimento a Giorgio Almirante[17] e
alla sua squadra è praticamente ovvio e avvalorato dal fatto che nella versione
inedita del ’74 canta espressamente “Almirante
ha la faccia serena”, mentre De André canta “il gran capo ha la faccia serena”.
Adesso basta giocare, “il bambino nel cortile si è fermato”.
Ha conquistato la consapevolezza della minaccia neofascista, del pericolo della
perdita di memoria storica che è gia in atto. È finito il tempo di sognare ed è
arrivato quello di svegliarsi e agire. Una fase di passaggio vissuta in un
luogo ideale fra il neofascismo che ha appena visto sul muro di fronte casa sua
(“ricordi vicini”) e il vecchio
fascismo del ventennio (“rumori lontani”),
splendidamente sottolineata da una rule changing creativity[18]: “si è seduto tra i ricordi vicini e i rumori
lontani”. L’azione necessaria è anche consequenziale: “guarda il muro” con quell’orribile scritta che “dice che il Movimento vincerà” e, subito
dopo, “si guarda le mani”. È ora di
usarle per riaffermare la propria
identità antifascista, con i valori della Resistenza e della Costituzione del
‘48: una costante della “poetica storica” di De Gregori e un fondamento della
sua formazione. “Auguriamoci che l’antifascismo (il rifiuto ideale e culturale,
non solo storico, del fascismo) si articoli sempre più spesso nelle
problematiche di oggi, nel rifiuto della violenza, nell’accettazione del
diverso, nei grandi e non banali, né retorici temi dell’organizzazione della
fratellanza e dell’invenzione del futuro. Solo se si incarna nelle pratiche
quotidiane di tutti gli uomini, a destra come a sinistra, l’antifascismo può
diventare arnese politico e non repertorio storiografico”[19].
Figure retoriche
“e i cavalli a Salò” e “a
giocare col nero perdi sempre” sono due allusioni.
“chiude gli occhi e comincia a sognare” e “chiude gli occhi e comincia a volare”, le due ripetizioni di “e suo figlio è una nave pirata”, le tre
ripetizioni di “guarda il muro e si
guarda le mani” sono anafore.
“ogni volta che colpisce una
stella” e “sono morti di noia” sono due iperboli.
“chiude gli occhi e comincia a volare” è una metafora allegorica.
“e suo figlio è una nave pirata”
è una metafora analogica.
“la mascella” e “al cortile” sono
due sineddoche.
Ci sono poche rime: smentito-capito, mare-sognare-volare e una interna, fermato-stancato. Da notare una consonanza: aquiloni-lontani.
[1] nella versione inedita del
’74 dello stesso De Gregori e nella versione di Fabrizio De André contenuta in Volume VIII (1974) cantano “mio padre
AVEVA UN SOGNO comune / CONDIVISO dalla sua generazione”.
[2] nella versione inedita e
nella versione di De André cantano “troppi morti lo hanno TRADITO”.
[3] in Volume VIII, De André canta “chiude gli occhi e SI METTE a
sognare / chiude gli occhi e SI METTE a volare”.
[4] nella versione inedita, De
Gregori canta “AH, i poeti che STRANE creature”. In Volume VIII, De André canta
“i poeti che STRANE creature”.
[5] nella versione inedita, De
Gregori non canta “nera”, ma semplicemente “è rimasta una scritta”.
[6] nella versione inedita, De
Gregori canta “ALMIRANTE HA LA FACCIA SERENA ”.
In Volume VIII, De André canta “IL
GRAN CAPO HA LA FACCIA SERENA ”.
[7] nella versione inedita e
nella versione di De André cantano “LA CRAVATTA INTONATA
alla camicia”.
[8] nella versione inedita, De
Gregori canta “ma il bambino nel cortile si è STANCATO”.
[9] nella versione inedita e
nella versione di De André cantano “si è stancato di seguire GLI aquiloni”.
[10] nella versione inedita,
De Gregori non canta il v.31.
[11] da “Francesco De Gregori.
Quello che non so, lo so cantare” di Enrico Deregibus, Giunti, 2003.
[13] da “Mussolini il duce,
vol.I, Gli anni del consenso 1929-1936”
di Renzo De Felice, Einaudi, 1974.
[14] sineddoche: si verifica
quando un termine è usato per significarne un altro più ampio e più specifico.
[15] dall’articolo “Sfida ai
dirigenti della televisione” di Pier Paolo Pasolini, “Corriere della Sera”, 9
dicembre 1973.
[16] il Movimento Sociale
Italiano è un partito d’ispirazione fascista nato nel 1946 ad opera di reduci
della Repubblica Sociale di Salò ed ex esponenti del regime fascista. Nel 1993,
con la “svolta di Fiuggi”, cambia nome in Alleanza Nazionale.
[17] Giorgio Almirante fu
redattore de “Il giornale della razza” durante il ventennio, firmò permessi per
le fucilazioni della Repubblica di Salò, fu poi tra i fondatori dell’MSI nonché
suo segretario in più periodi fino al 1987, quando fu sostituito - per suo
volere - da Gianfranco Fini.
[18] rule changing creativity:
si basa sulla bisociazione (associazione divergente). Questa consiste
nell’introduzione di un elemento (coro, persona, situazione, parola astratta)
in conflitto col termine cui è legata, ma dalla cui unione emerge un
particolare messaggio comunicativo. (da “Aspetti di una teoria del linguaggio”
di Noam Chomsky, Boringhieri, 1965).
[19] dall’articolo “Una
settimana da non dimenticare” di Francesco De Gregori, “L’Unità”, 29 aprile
1995.
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