sabato 7 maggio 2016

Francesco Grisi - Pier Paolo Pasolini - e il loro rapporto con Cutro




Il 4 aprile del 1999 moriva a Todi, all'età di 72 anni, Francesco Grisi, calabrese d'origine (Cutro), come ricorda lui stesso nella prefazione de "Il mantello di Faust" pubblicato nel 1981. "Allora i miei genitori sono calabresi. I primi 15 anni della mia vita li ho trascorsi a Cutro un paese dove nacque l'avventuriero Giovan Dionigi Galeni che con il nome di Occhiali partecipò come generale dei turchi alla battaglia di Lepanto". Sette anni sono trascorsi ma di lui anche dopo la morte si continua a parlare e a scrivere.
Non a caso in occasione del suo quinto anniversario il Centro Studi e Ricerche, dedicato al Grisi e diretto da Francesco Bruni, ha curato l'ultimo suo romanzo inedito "I giorni non si somigliano tutti". L'editore è la casa editrice Pellegrini di Cosenza. Il romanzo, inedito, è stato consegnato al Bruni dallo stesso autore prima di morire e risale agli anni '50.
Anche da parte nostra, dacché avemmo occasione di conoscerlo in vita, un momento di meditazione rapida e spontanea a ricordo della sua memoria. A lenti passi, dopo la sua morte, siamo entrati cautamente nel vasto mondo della sua luminosa intellettualità e quel profeta di se stesso non è morto, vive e con l'eterna sua lezione ancora detta consigli: "Credo in Dio perché ho bisogno di perfezione nella mia disarmonia. E l'aiuto concreto che mi assicura la religiosità accompagna e accresce la pazienza del mio cuore. Mi auguro di non giudicare mai. Amo l'amicizia più dell'amore. Ma l'amore è l'alba che annunzia ogni giorno. Per me la morte è una nuova stagione. Chi muore continua a vivere. Non per il nostro ricordo ma in sé".
Francesco Grisi ha vissuto e lavorato a Roma esercitando numerosi mestieri ed è stato anche docente al liceo ed all'università. Ha viaggiato moltissimo ed ha scritto diversi libri di narrativa e di critica letteraria: "Il mantello di Faust", "Ipotesi per l'intellettuale integrato", "Leggende e racconti popolari della Calabria", "A futura memoria" (romanzo finalista al Premio Strega 1986), "Incontri in libreria", "Avventura del personaggio", "Si tratta di una rosa", "Cronaca di una distrazione", "I sigari di Brissago", "Incontro con i contemporanei", "La protesta di Iacopone de Todi", "Il Natale, storia e leggenda".
Riportiamo una lettera di Riccardo Bacchelli inviata da Milano il 20 maggio '64 a Francesco Grisi in occasione della pubblicazione de "Il brigante di Tacca del Lupo".
"Caro Grisi, l'antologia mi sembra ben riuscita, buona la scelta, che è essa stessa critica e insieme pedagogica, come il volume esige; buoni i momenti, ai quali apporrei semmai d'esser alquanto scarsi e troppo rari; belle, se a me stesse dirlo, la prefazione e le presentazioni, nelle quali troverà chi la accuserà d'essermi troppo benevolo. Però, dico io, è una benevolenza ragionata, critica, e "interessante", e assai originale. Nella nota ho trovato qualche inesattezza storica e due o tre imprecisioni nomenclative. Siccome il Mangella mi dice di sperare in una non troppo lontana ristampa, gli passo una copia del volume coi rilievi in margine. Con i più cordiali e lieti saluti, Bacchelli".
Francesco Grisi è stato un grande testimone della cultura calabrese ed italiana, uno specchio per il Novecento, infatti, nei suoi scritti ha saputo racchiudere magistralmente l'infinito dentro il finito.
                 
                                            
(Pasolini a Cutro negli anni '60)

UNA LETTERA SULLA CALABRIA

Di Pier Paolo Pasolini



Caro direttore,con un pò di ritardo, magari mi vorrei spiegare e sfogare sulle colonne del suo giornale. Ho qui, solo ora, sotto gli occhi dei fogli calabresi di cui mi era stato dato un vago allarme: e su cui sono oggetto di una profonda indignazione. Ho fatto come lo struzzo: non ho voluto saperne di più. Ma adesso quei giornali mi sono capitati fisicamente davanti: e ho dovuto tirar fuori dalla sabbia la testa. Niente di grave né ho passate di ben peggiori, in quest’annata letteraria. Ancora una volta sono stato dichiarato nemico della patria: stavolta perché ho dato dei “banditi” ai calabresi. Veramente, le cose stanno così: ho fatto quest’estate un giro per le spiagge italiane, da Ventimiglia a Trieste, per incarico della rivista Successo, e qui, in tre puntate, ho pubblicato le mie impressioni. Un piccolissimo, stenografato reisebilder: in cui sono andato non oltre la prima cute. Tra le altre spiagge ho visto quelle calabresi: stupende nel versante tirrenico fino a Maratea (e l’ho scritto: stupende); incantate nella parte occidentale dello Jonio (e anche questo l’ho scritto); tremende nella zona di Cutro. Tremende non in quanto spiagge ma in quanto luoghi appartenenti a una fra le più depresse delle aree depresse italiane. Non ho potuto affrontare in una sede come quella di Successo la cosa in termini sociologici, e nemmeno veramente letterari: e così ho un pò scherzato, linguisticamente, come in tutto il resto del mio servizio. Dicendo che la zona di Cutro è quella che mi ha più impressionato in tutto il mio viaggio, ho detto la verità: chiamandola poi zona di “banditi”, ho usato la parola: 1) nel suo etimo; 2) nel significato che essa ha nei film westerns, ossia in un significato puramente coloristico; 3) con profonda simpatia. Fin da bambino, ho sempre tenuto per i banditi contro i poliziotti: figurarsi in questo caso. Ora, purtroppo, alcune persone hanno finto di essersi offese per queste mie innocenti parole: non so perché l’abbiano finto: per ragioni di tattica elettorale, suppongo… E così che si creano i pretesti, le speculazioni politiche, i rancori teologici e magari si armano le mani, oltre che le bocche… non vogliono ammettere che in realtà in Calabria i “banditi” ci sono. E precisiamo questa storia dei “banditi”. Anzitutto, a Cutro, sia ben chiaro, prima di ogni ulteriore considerazione, il quaranta per cento della popolazione è stata privata del diritto al voto perché condannata per furto: questo furto consiste, poi, nell’aver fatto legna nei boschi della tenuta del barone Luigi Barracco. Ora vorrei sapere che cos’altro è questa povera gente se non “bandita” dalla società italiana, che è dalla parte del barone e dei suoi servi politici… la storia della Calabria implica necessariamente il banditismo: se da due millenni essa è una terra dominata, sottogovernata, depressa. Paternalismo e tirannia, dai Bizantini agli Spagnoli, dai Borboni ai fascisti, che cos’altro poteva produrre se non una popolazione nei cui caratteri sociali si mescolano una dolorosa arretratezza e un fiero spirito di rivolta?


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