di Michele Nigro
Pochi giorni fa è uscito il singolo “Passacaglia” tratto dal nuovo album di inediti di Franco Battiato intitolato “Apriti Sesamo”.
Ancora una volta il cantautore siciliano fa da ponte tra antico e moderno, tra musica colta e musica popolare, traducendo in suoni contemporanei (suscitando già le perplessità di alcuni puristi e dei soliti nostalgici del periodo pre-sgalambrico) una forma musicale appartenente alla tradizione e che nel corso dei secoli è diventata un vero e proprio genere musicale: la passacaglia appunto. Battiato si è ispirato, rielaborandola sia dal punto di vista musicale che testuale, alla Passacaglia della vita di Stefano Landi (1587 – 1639), già rivisitata tempo fa, ma senza subire grandi trasformazioni, da un altro grande cantautore italiano: Angelo Branduardi.
Il concetto musicale di variazione, caratteristica fondamentale della passacaglia, è applicabile anche alla nostra vita. Il “passare la calle”, ovvero la strada, è un simbolo che non appartiene solo a coloro che vivono e lavorano in strada, i musicisti girovaghi e i viandanti, ma anche a tutti gli altri esseri viventi che si apprestano, come natura vuole, a lasciare questa vita terrena o più semplicemente a cambiare modo di vivere, evolvendo nel corso dell’esistenza. L’attraversamento quale simbolo di trasformazione di una vita, di una carriera artistica, di un passaggio esistenziale interiore… Anche la morte è un passaggio e non la fine di tutto, ma accettarla non è semplice. Tutto finisce: i governi, gli imperi, le ricchezze, l’interesse nei confronti di un lavoro o la passione per una persona amata, la vita. E la fine può giungere in qualsiasi momento, anche mentre stiamo facendo ciò che desideriamo (come si legge nel testo di Landi: Si more cantando, si more sonando [...] Si more danzando, bevendo, mangiando…).
Quella che segue è un’analisi del tutto personale del testo del brano “Passacaglia” di Franco Battiato e non rappresenta assolutamente un’esegesi definitiva che può compiere solo l’autore. O meglio, gli autori, dal momento che, come accade ormai da anni, la rielaborazione del testo è avvenuta in collaborazione con il filosofo siciliano Manlio Sgalambro. Da notare le parti del testo che ripropongono esattamente, soprattutto nell’incipit, alcuni passaggi della “Passacaglia della vita” di Landi e altre parti in cui Battiato in modo palese personalizza il testo, attingendo elementi dalla propria vita, nonostante il lavoro coautorato con Sgalambro.
Ah come ti inganni
se pensi che gli anni
non han da finire
è breve il gioire
i sani gli infermi
i bravi gli inermi
è un sogno la vita
che passi gradita.
se pensi che gli anni
non han da finire
è breve il gioire
i sani gli infermi
i bravi gli inermi
è un sogno la vita
che passi gradita.
Non importa come tu abbia trascorso la tua esistenza, se sia stato sano o malato, lavoratore o scansafatiche. Un’unica verità accomuna tutti gli esseri viventi e in particolar modo gli esseri umani dotati, a differenza degli altri esseri senzienti, di una coscienza: la vita non dura per sempre – siamo “Di passaggio”, cantava lo stesso Battiato anni fa – l’eventuale gioia che ne trai è breve ed è destinata a finire. Così breve e sfumata da sembrare un sogno; quindi cerca di viverla in maniera gradevole e se possibile utile dal punto di vista della crescita personale.
Vorrei tornare indietro
per rivedere il passato
per comprendere meglio
quello che abbiamo perduto
viviamo in un mondo orribile
siamo in cerca di un’esistenza.
per comprendere meglio
quello che abbiamo perduto
viviamo in un mondo orribile
siamo in cerca di un’esistenza.
Anche se ci sforziamo di vivere correttamente, veniamo spesso e volentieri colti dalla tentazione di voler tornare indietro, per rifare il percorso, per rivivere meglio periodi della nostra vita durante i quali l’istinto negativo ha prevalso sulla comprensione. Oppure, anche se non abbiamo compiuto gravi errori, semplicemente per rivedere meglio alcune scene che ci sono sfuggite e aiuterebbero a comprendere la nostra vita attuale. Siamo prigionieri del presente e spesso non siamo consapevoli di ciò che abbiamo perduto: gli autori, credo, in questo passaggio non si riferiscono solo a una perdita personale, legata all’arco esistenziale del singolo individuo, ma a un impoverimento dell’umanità che travalica la persona e coinvolge l’essere umano in generale. La regola del “guardarsi indietro” vale anche per l’uomo di altre epoche, ma sembra che l’assurda vita frenetica dell’uomo del terzo millennio abbia aggravato questa perdita di dati esistenziali. Infatti Battiato non esita a dichiarare che viviamo in un mondo orribile: e non si riferisce solo alle cattive notizie dei telegiornali ma allo stile di vita che abbiamo adottato, illudendoci di vivere. Vivere respirando e pagando le tasse non è vivere: la vera esistenza, quella che in pochi ormai cercano con impegno, è tutta un’altra cosa. Forse già la scelta di ricercare un’esistenza superiore sarebbe un segno positivo, rappresenterebbe un tentativo di allontanamento volontario dall’abbrutimento, anche se i risultati, per debolezza o disattenzione, non sempre sono garantiti.