giovedì 19 luglio 2012

Prof. FRANCO FEDERICO



IL RUOLO DELLA FAMIGLIA NELL'EDUCAZIONE ALLA LETTURA


       A dispetto della diffusa percezione di una sua funzione educativa sempre più ridotta - insidiata com'è dalle altre agenzie formative - la famiglia continua a conservare tutta la propria importanza, anzi la vede moralmente accresciuta per effetto dei delicati compiti che sono venuti ad aggiungersi nell'odierna società di massa. L'educazione alla lettura rappresenta certamente uno di quei compiti nello svolgimento del quale insostituibile, ovvero determinante, appare l'apporto che può essere fornito dalla famiglia.
      Va, innanzitutto, sgombrato il campo da quel semplicistico pregiudizio, frutto della tradizionale impostazione socio-pedagogica di stampo marxista, secondo cui l'appartenenza ad un ceto socialmente e culturalmente elevato garantisca l'automatico insorgere dell'interesse per la lettura. La questione è un po' più complicata di quanto non appaia a prima vista. Ammesso e non concesso che i genitori benestanti ed istruiti esprimano sempre grande sensibilità nei confronti del proprio dovere educativo e, nel caso specifico, dell'obiettivo della lettura, vi è da constatare che lo zelo familiare per la lettura è sì elemento necessario, ma non sufficiente per l'acquisizione dell'abitudine del leggere. In altre parole, non basta desiderare che i propri figli leggano perché ciò avvenga; ma l'assumere un impegno concreto in tal senso non può non sortire dei risultati.
      Un fattore capace di determinare i presupposti per l'avvio di un diverso impiego del tempo libero è costituito dallo stile di vita familiare che, per ciò stesso, può risultare tale da favorire o ostacolare l'attività di lettura. Fattori favorevoli a quest'ultima, come si può facilmente intuire, sono da ritenere la serenità, la calma ed il rispetto reciproco delle esigenze e degli spazi di ciascuno. I conflitti, le incomprensioni o la mancanza dello spazio necessario al raccoglimento della lettura possono, al contrario, rappresentare ostacoli molto forti. Si pensi, ad esempio, a quell'eccesso di trambusto che suole talvolta contraddistinguere la vita delle famiglie numerose per il continuo andirivieni di parenti, amici, vicini di casa o per i continui squilli del telefono.
      La concentrazione e il tempo necessari al leggere possono, inoltre, venir meno per l'abitudine di certe famiglie di restare, per parecchie ore della giornata, tutti inchiodati davanti al televisore o fuori casa. Dell'incidenza del fattore televisivo sulla lettura ci si è già occupati ampiamente in "Viaggio nel mondo della lettura, che si trova in Questioni educative, ovvero in: Educazione alla lettura"; qui importa soltanto porre l'accento sulla non poca responsabilità che, in rapporto all'uso eccessivo del mezzo televisivo da parte dei figli, è da attribuirsi ai genitori.

      La famiglia che vuole svolgere un proprio ruolo nell'educazione alla lettura è quella che prende, innanzitutto, atto della necessità di sottoporre il tempo libero ad una serie di regole, nel tentativo ovviamente di scongiurare il rischio che lo stesso venga a cristallizzarsi in forme che, ancorchè rigidamente, possono essere intese come improduttive dal lato formativo. Devono, comunque, essere regole la cui validità sia fatta scorgere da se stessa attraverso l'esempio dei genitori, e non già attraverso la sterile imposizione autoritaria.
      Vi sono - è vero - situazioni nelle quali applicare quanto appena suggerito risulta, non diciamo difficile, ma addirittura impossibile. Si pensi, per fare un esempio, a quei genitori che, per impegni di lavoro, sono entrambi costretti ad assentarsi da casa per tanta parte della giornata, da non avere la possibilità, non solo di assicurare regolarità e pienezza formativa al tempo libero dei figli, ma neppure di esercitare sullo stesso alcuna vigilanza. Non v'è chi non veda quali effetti benefici, al contrario, produca sul comportamento dei figli la sola presenza dei genitori in casa. Per un ragazzo abituato a studiare o a leggere mentre i genitori sono in casa, l'assenza di questi ultimi può avere un effetto destabilizzante, cioè indurlo a distaccarsi dai suoi compiti abituali.
      Un fattore, senza dubbio, decisivo per l'accostamento o meno del figlio alla lettura è costituito appunto dall'abitudine. Educare alla lettura è compito più facile, quando nel soggetto non risultano già consolidate altre abitudini. Mentre vani, il più delle volte, si rivelano i tentativi di modificare abitudini e preferenze, quando ormai queste sono state profondamente interiorizzate o quando l'azione educativa svolta dalla famiglia o dalla scuola va incontro all'azione neutralizzatrice svolta dalle più suggestive agenzie comunicative o al condizionamento ambientale. Per questo motivo l'infanzia risulta l'età più propizia all'educazione alla lettura.
      Una buona abitudine era quella dei genitori di una volta, i quali ogni sera, per assecondare il sonno dei propri piccoli, leggevano loro ad alta voce qualche fiaba. Geno Pampaloni ricorda che "nelle lunghe serate invernali, le famiglie si riunivano nella cucina, la stanza calda della casa, per ascoltare la lettura di grandi romanzi o di storie avventurose; talvolta, quando era più grande il prestigio del testo, o del lettore, un altro giro di sedie accoglieva attorno alla tavola altre famiglie del vicinato. Altri tempi, che il nuovo modo di vivere ha reso remoti e quasi inimmaginabili per i giovani di oggi. Eppure quelle serate di riunione tranquilla offrono, nel ricordo, una rappresentazione quasi simbolica della lettura come ritualità comunitaria".
      Questa abitudine, ormai definitivamente travolta dalla televisione, serviva, non solo ad accendere la fantasia, ma a fare apparire la lettura "ascoltata" come qualcosa di affascinante e insieme di magico. Che cosa ci può essere di più efficace di questo misterioso trarre da una pagina muta tante vive ed emozionanti storie, per accostare un bambino al piacere della lettura ?
      Dal momento dell'ingresso del bambino nella scuola dell'obbligo, dovrebbe tra quest'ultima e la scuola stabilirsi un rapporto di collaborazione per quanto riguarda l'educazione alla lettura. In teoria, il compito della famiglia, da questo momento in poi, dovrebbe risultare di gran lunga più facilitato. Anzi l'azione dell'una dovrebbe rafforzare quella dell'altra, al fine di contrastare più proficuamente i forti condizionamenti derivanti dallo stradominio delle "scuole" televisive.
      Si è usato fin qui il condizionale perché, come verrà meglio chiarito in un successivo Editoriale, la scuola può non perseguire l'obiettivo di educare alla lettura, ovvero non sviluppare alcuna azione appositamente rivolta allo scopo. In tal caso, serve poco o niente riempire la casa di libri: del resto, bastasse comprare dei libri perché i figli se li leggano, il nostro problema sarebbe bell'e risolto in quattro e quattr'otto. E non serve neanche celebrare a parole i benefici che si possono trarre dalla lettura dei tanti libri che si trovano in casa. "Quel che non bisogna fare è predicare sulla bellezza della lettura (...). Peggio ancora è (...) imporre la lettura con mezzi coercitivi" (J.A.Cutforth - S.H.Battersby). In nessun campo è tanto inutile la predica quanto in quello dell'educazione alla lettura.
      Davvero utile è, invece, che in casa si respiri un'atmosfera di lettura; che la pratica della lettura sia scorta essere parte della vita di più componenti familiari; che le conversazioni di famiglia siano, di tanto in tanto, riferite a letture. Ottimi accorgimenti sono quelli consigliati dagli studiosi testè citati: "Siate voi, se siete genitori, a spegnere per voi una sera la tivvù, se c'è un programma che notoriamente vi interessa, e a sprofondarvi nella lettura di pagine che amate ancora di più (...). Siate voi che, se avete un viaggio da fare in treno, vi procurate qualche buon romanzo (...) e vi fate vedere sceglierlo, e magari andate insieme in libreria (...) a comprarlo (...). Siate voi (...) a farvi vedere passare il tempo leggendo o cavare fuori un paio di libri dagli scaffali per verificare una notizia importante (...). Sta a voi qualche volta dire: ho bisogno di questo libro, mi serve per capire una cosa oppure per divertirmi un'ora o per vedere se val la pena comprarlo e (...) perciò vado in biblioteca....". Il che equivale a dimostrare, non con le parole, ma coi fatti gli innumerevoli usi che è possibile fare della lettura.
      Indubbiamente più efficaci risulteranno le dimostrazioni, non tanto degli usi, diciamo così, professionali della lettura, quanto di quelli dettati dalle esigenze comuni e spontanee del vivere quotidiano. Nel qual caso la lettura non potrà essere associata all'idea del lavoro. Per questo motivo, appare più esemplare agli occhi del figlio il leggere del padre-operaio o della madre-casalinga che non quello del genitore il quale alla lettura sembra accostarsi per ragioni professionali.
      Maggior valore di esemplarità acquista, nella famiglia, il fratello o la sorella maggiore che legge agli occhi del fratello o della sorella minore. La naturale emulazione presente tra fratelli può portare ad un benefico scambio di informazioni, di consigli e di esperienze anche in fatto di lettura, trattandosi di un rapporto tra pari.
      Stando ad alcuni dati, pare che negli ultimi dieci anni sia aumentato notevolmente il consumo di libri tra i bambini e i ragazzi di età compresa tra i sei e i tredici anni, passando da una media di 20.000 copie vendute in un anno ad una di quasi 30.000. "Ma con il passaggio ai 14-16 anni (...) si tende a scivolare nella non-lettura. Il bambino lettore diventa inevitabilmente un giovane lettore occasionale, o più semplicemente un <<non lettore>>".
      Si deve, dunque, ritenere la scuola dell'obbligo più efficiente della scuola secondaria in rapporto all'obiettivo considerato o, non conservandosi alcuna pratica di lettura a seguito dell'obbligo scolastico, è da giudicare sostanzialmente fallimentare l'azione educativa svolta dalla Secondaria ? Resta il fatto che più problematico è il rapporto tra la lettura e gli adolescenti e che inevitabilmente più arduo è per le famiglie intervenire con successo su questa fascia di età. Tra la famiglia e la scuola è, tuttavia, quest'ultima a poter incidere più efficacemente, a questo livello di età, sull'educazione alla lettura, come sarà dimostrato nella successiva riflessione.
      Non si deve, comunque, credere che la famiglia non abbia alcun ruolo da svolgere nei confronti dell'adolescente. Quanto è stato già affermato riguardo agli effetti benefici di una condotta familiare ordinaria ed improntata al dialogo ed al rispetto reciproco, non può non essere valido anche nel periodo dell'adolescenza. La comprensione ed, ancor più, il dialogo - naturalmente articolato su posizioni ideologiche che possono presentarsi fortemente diversificate - non possono non costituire un fertile terreno per la lettura, dal momento che a questa si giunge quasi sempre dietro la sollecitazione dei dubbi, delle ansie conoscitive e degli interrogativi che normalmente insorgono attraverso il libero confronto delle conoscenze, delle idee e delle opinioni. Più fortunati sono ovviamente quei genitori che, sfruttando la propria cultura, più aggiornata e stimolante, possono far leva sullo spirito emulativo e sul senso di orgoglio, tipici dell'adolescenza, per spingere i propri figli ad accostarsi al confronto con essi con informazione e competenza, mostrando loro coi fatti quali concreti vantaggi possano attingersi dalla lettura.
      Ma, se il giovane adolescente è uno di quei non pochi che, dopo la scuola media, si è messo a lavorare o fa il disoccupato, e se la sua famiglia neppure lontanamente può giungere a percepire l'opportunità che il proprio figlio non impieghi tutto il suo tempo tra uscite fuori con amici, ascolti musicali, televisione, discoteca ed automobile, diviene molto elevata la probabilità di trovarsi di fronte all'ennesima nascita di un imperterrito ed accanito non-lettore. Con la situazione appena ipotizzata, si vuole - se proprio ce ne fosse stato bisogno - far notare come del tutto oziosi possano rivelarsi certi discorsi, come quello che si è fatto qui, in determinate situazioni sociali.

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