(David Donato)
David Donato (Feroleto Antico il 5 ottobre 1926 – Pizzo il 20 gennaio 2009) giornalista-poeta-scrittore e commediografo. Abbiamo intenzione di dedicare a questo autore, alla quale è stata intitolata la prima rassegna di teatro dialettale svoltasi a Scandale (KR) nell'estate 2013 , un più ampio tributo per evidenziare tutte le sue opere .
Nell'attesa per conoscerLo meglio un suo scritto :
L’Elezione del Priore
Dalla raccolta “Carosello Pizzitano” (1979)
Le
arciconfraternite religiose a Pizzo sono quattro e da lungo tempo. Esse
si raggruppano attorno a quattro chiese, a ciascuna delle quali fa capo
una categoria di cittadini: artigiani, contadini, pescatori,
commercianti, impiegati, professionisti.
A quella di San Sebastiano, ubicata su di un’erta del paese, ove è anche posto il
Calvario, appartenevano, all’epoca dell’episodio qui narrato, soltanto
gli artigiani: fabbri, muratori, falegnami, barbieri, sarti, calzolai,
ecc.
Gli associati alla congrega, così come avviene tuttora in
tutte le altre, sono chiamati “fratelli”. Chi ne vuole far parte deve
avanzarne richiesta, presentata da uno o da più fratelli al “priore”,
cioè al capo dell’Arciconfraternita e al consiglio, composto da due o da
tre vice-priori, detti “assistenti”, progressivamente riconosciuti come
primo, secondo e terzo, cioè in base alla votazione riportata, quando
tutti i fratelli, annualmente, votano per rinnovare le cariche elettive
della congrega. Il cassiere, scelto fra le persone che riscuotono
maggiore fiducia, è votato a parte.
Essere iscritti alla
congrega non era facile, una volta. Spesso bisognava reiterare la
domanda di associazione, anche per alcuni anni, prima di ottenere la
vestizione a fratello. Dopo di che, si procedeva ad una sorta di
rituale, che era detto la “cantata", cerimonia di professione solenne di
fedeltà del nuovo iscritto, che si teneva e si tiene, una volta l’anno,
per nominare i nuovi fratelli. A costoro viene imposta una lunga tunica
bianca e sulle spalle una corta mantellina rotonda, chiamata
“mozzetta”, ricavata da tessuto di raso colorato in rosso, verde,
azzurro, a seconda del colore prescelto dalla congrega per distinguersi
dalle altre.
La cerimonia di professione, ovverosia la
“cantata”, è fatta sempre davanti al consiglio, con l’assistenza del
canonico, che dirige la chiesa. La congrega, abbigliata come sopra
chiarito, sfila per le vie del paese durante le processioni religiose,
che sono molte durante l’anno solare. I fratelli sono tenuti a pagare
una quota fissa annuale per sostenere tutte le spese della congrega; ma
raccolgono contributi straordinari fra la cittadinanza, allorché devono
festeggiare il santo patrono della chiesa, a cui la congrega si
appoggia.
Quella dell’Arciconfraternita del Nome di Maria
Santissima ha per Patrono San Giuseppe, protettore degli artigiani,
appunto perché, come in precedenza premesso, a questa congrega
confluiscono le arti e i mestieri del paese.
Il giorno che
precede la festa del 19 marzo, davanti al piazzale della chiesa, la
congrega usa distribuire, per tradizione, una minestra calda di pasta e
ceci a chiunque si trovi là e ne faccia richiesta. Da centinaia di anni
si va avanti così, in un’atmosfera di chiassosa “kermesse”, che apre la
primavera di Pizzo, sfolgorante di colori.
In una congrega
religiosa non si dovrebbero formare le “correnti”, vizio nazionale,
sempre foriero di disgregazioni, per eleggere questo anzi che
quell’altro fratello alla carica di priore. Invece accade, perché tale
carica, anche se meramente onorifica, è ambita, perciò si montano le
rivalità al momento dell’elezione. Spesso è avvenuto che la spiccata
personalità di un priore abbia determinato per alcuni anni che egli sia
stato eletto col consenso generale, schiacciando in partenza qualche
concorrente poco appoggiato. Specialmente, l’elezione continua per due o
tre anni consecutivi si verifica quando il priore ha dato prova di
saggia amministrazione, di intraprendenza e, non ultimo, di operare con
elevato spirito cristiano. Priori di tal fatta se ne ricordano pochi,
per la verità, ma ci sono stati e i fratelli sperano sempre di scovarne
qualcuno da additare all’ammirazione e al rispetto delle altre tre
congreghe locali.
All’inizio della seconda guerra mondiale
presso la chiesa di San Sebastiano godeva già di alcune riconferme
nell’alto incarico un anziano priore, circondato dalla stima e
confortato dal pieno consenso degli altri fratelli. Egli aveva fatto
aumentare il numero degli associati portando nuovi iscritti, fra i quali
uno gli era particolarmente amico e, quindi, assai affezionato. Alla
prima domanda di associazione, infatti, mastro Antonio era stato
accolto, senza troppo attendere, come era accaduto ad altri. Quell’anno,
però una parte dei fratelli aveva deciso che si dovesse cambiare e,
pubblicamente, aveva fatto circolare il nome di un fratello, più giovane
del priore in carica, da candidare ed eleggere.
I sostenitori
del priore in carica, chiedevano spiegazioni sul perché si dovesse
cambiare, ma ne ottenevano risposte evasive, senza consistenza su fatti
concreti o programmi futuri. Il priore era stato sempre all’altezza del
suo compito, rinnovargli ancora la fiducia sembrava, non solo opportuno,
bensì doveroso da parte di tutti. In modo particolare, anche se eletto
fratello da poco, mastro Antonio si scaldava facilmente nelle
discussioni di approccio fra i vari gruppi, formatisi per sondaggi di
opinione fra le correnti. Egli era riconoscente al priore, si sentiva
suo amico, lo stimava e voleva che fosse rieletto. E spesso, perdendo la
calma, prese a minacciare.
- Vedrete cosa succederà, la sera delle votazioni! Farò un discorso che chiuderà la bocca a tutti!... –
Gli altri fratelli si chiedevano, spettegolando l’uno con l’altro, con una punta di malignità:
- Come farà a parlare in italiano, dal momento che si esprime sempre e soltanto in dialetto?... –
Infatti, mastro Antonio sapeva appena firmare e compitare qualche frase
quando scriveva al figlio in armi su di un incrociatore della Regia
Marina.
In breve, perciò, i fratelli incominciarono a
punzecchiarlo: i pizzitani, anche se indossano una tunica di congrega
religiosa, restano ugualmente sfottenti per natura e di spirito
caustico! Soprattutto, essi lo sfidavano a parlare in italiano nella
prossima assemblea, così come sapevano fare in tanti, almeno tutti
coloro che avevano superato l’esame finale e conseguito la licenza di
quinta elementare, dedicandosi a buone letture.
Mastro Antonio
rimbeccava, sostenendo che il suo discorso lo avrebbe tenuto in perfetto
italiano: parlare in dialetto tutti i giorni era una necessità, ma in
qualche circostanza, senza indicare quando e dove, egli aveva già saputo
esprimersi bene nella lingua nazionale. Lo diceva soltanto; però, in
cuor suo temeva l’approssimarsi del momento in cui, senza potersi più
tirare indietro, avrebbe dovuto chiedere la parola alla presenza di
tutti i fratelli.
E giunse quella sera, alfine! Per lui sarebbe
finito un incubo, sorto dall’affetto e dalla stima verso un amico,
alimentato anche da un nobile senso della gratitudine.
Quando
l’assemblea fu riunita, mastro Antonio si alzò subito per ottenere la
parola, prima di ogni altro, al fine di bloccare la proposta, già
minacciata, della presentazione di altre candidature. Tutti
accondiscesero a farlo parlare, dopo che il priore aveva finito la
relazione dettagliata della gestione dell’anno scaduto.
Mastro
Antonio le levò, lentamente e, con studiata flemma, girò intorno lo
sguardo, fissando uno ad uno tutti i presenti, quasi in atto di sfida.
Poi, tradendo l’emozione che lo tormentava e protendendo il braccio
destro, come un novello Cicerone, verso il candidato che si proponeva di
scalzare il suo amico, proruppe in un italiano abbondantemente
inquinato di dialetto:
- Io direbbi che le così restassero come
sogno! Ma se voi voleti sàgliere sagliate!... – e si sedette di colpo,
rosso in faccia e imperlato di sudore, tradendo un leggero tremito nelle
mani dovuto alla tensione nervosa che si scaricava, dopo tanti giorni
di accumulo.
Uno scoppio di ilarità fece seguito a quelle parole: Ridevano tutti di cuore, prete compreso, qualcuno sino alle lacrime.
Quell’inusitata oratoria, quel singolare modo di esprimersi da parte di
mastro Antonio aveva sbloccato l’atmosfera di curiosa attesa, mista da
un po’ di tensione, pochi attimi prima così facile a cogliersi nella
sala.
Il candidato che voleva scalzare il priore amico di mastro Antonio ritirò subito la propria candidatura, dichiarando:
- Si, hai ragione! È meglio che le cose restino come sono. Io non voglio “salire” a nessuna carica. Evviva il priore!... –
Fu un’elezione storica. Il vecchio priore riebbe la carica con tutti i
voti dei presenti, il suo compreso, grazie alla sortita
dell’improvvisato “tribuno”, sgrammaticato, pasticcione, ma
indubbiamente efficace!
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