mercoledì 18 settembre 2013

DAVID DONATO - PIZZO

                                                                   (David Donato)
David Donato (Feroleto Antico il 5 ottobre 1926 – Pizzo il 20 gennaio 2009) giornalista-poeta-scrittore e commediografo. Abbiamo intenzione di dedicare a questo autore, alla quale è stata intitolata la prima rassegna di teatro dialettale svoltasi a Scandale (KR) nell'estate 2013 , un più ampio tributo per evidenziare tutte le sue opere .
Nell'attesa per conoscerLo meglio un suo scritto : 
 L’Elezione del Priore
Dalla raccolta “Carosello Pizzitano” (1979)


 Le arciconfraternite religiose a Pizzo sono quattro e da lungo tempo. Esse si raggruppano attorno a quattro chiese, a ciascuna delle quali fa capo una categoria di cittadini: artigiani, contadini, pescatori, commercianti, impiegati, professionisti.
A quella di San Sebastiano, ubicata su di un’erta del paese, ove è anche posto il Calvario, appartenevano, all’epoca dell’episodio qui narrato, soltanto gli artigiani: fabbri, muratori, falegnami, barbieri, sarti, calzolai, ecc.
Gli associati alla congrega, così come avviene tuttora in tutte le altre, sono chiamati “fratelli”. Chi ne vuole far parte deve avanzarne richiesta, presentata da uno o da più fratelli al “priore”, cioè al capo dell’Arciconfraternita e al consiglio, composto da due o da tre vice-priori, detti “assistenti”, progressivamente riconosciuti come primo, secondo e terzo, cioè in base alla votazione riportata, quando tutti i fratelli, annualmente, votano per rinnovare le cariche elettive della congrega. Il cassiere, scelto fra le persone che riscuotono maggiore fiducia, è votato a parte.

Essere iscritti alla congrega non era facile, una volta. Spesso bisognava reiterare la domanda di associazione, anche per alcuni anni, prima di ottenere la vestizione a fratello. Dopo di che, si procedeva ad una sorta di rituale, che era detto la “cantata", cerimonia di professione solenne di fedeltà del nuovo iscritto, che si teneva e si tiene, una volta l’anno, per nominare i nuovi fratelli. A costoro viene imposta una lunga tunica bianca e sulle spalle una corta mantellina rotonda, chiamata “mozzetta”, ricavata da tessuto di raso colorato in rosso, verde, azzurro, a seconda del colore prescelto dalla congrega per distinguersi dalle altre.
La cerimonia di professione, ovverosia la “cantata”, è fatta sempre davanti al consiglio, con l’assistenza del canonico, che dirige la chiesa. La congrega, abbigliata come sopra chiarito, sfila per le vie del paese durante le processioni religiose, che sono molte durante l’anno solare. I fratelli sono tenuti a pagare una quota fissa annuale per sostenere tutte le spese della congrega; ma raccolgono contributi straordinari fra la cittadinanza, allorché devono festeggiare il santo patrono della chiesa, a cui la congrega si appoggia.
Quella dell’Arciconfraternita del Nome di Maria Santissima ha per Patrono San Giuseppe, protettore degli artigiani, appunto perché, come in precedenza premesso, a questa congrega confluiscono le arti e i mestieri del paese.

Il giorno che precede la festa del 19 marzo, davanti al piazzale della chiesa, la congrega usa distribuire, per tradizione, una minestra calda di pasta e ceci a chiunque si trovi là e ne faccia richiesta. Da centinaia di anni si va avanti così, in un’atmosfera di chiassosa “kermesse”, che apre la primavera di Pizzo, sfolgorante di colori.

In una congrega religiosa non si dovrebbero formare le “correnti”, vizio nazionale, sempre foriero di disgregazioni, per eleggere questo anzi che quell’altro fratello alla carica di priore. Invece accade, perché tale carica, anche se meramente onorifica, è ambita, perciò si montano le rivalità al momento dell’elezione. Spesso è avvenuto che la spiccata personalità di un priore abbia determinato per alcuni anni che egli sia stato eletto col consenso generale, schiacciando in partenza qualche concorrente poco appoggiato. Specialmente, l’elezione continua per due o tre anni consecutivi si verifica quando il priore ha dato prova di saggia amministrazione, di intraprendenza e, non ultimo, di operare con elevato spirito cristiano. Priori di tal fatta se ne ricordano pochi, per la verità, ma ci sono stati e i fratelli sperano sempre di scovarne qualcuno da additare all’ammirazione e al rispetto delle altre tre congreghe locali.

All’inizio della seconda guerra mondiale presso la chiesa di San Sebastiano godeva già di alcune riconferme nell’alto incarico un anziano priore, circondato dalla stima e confortato dal pieno consenso degli altri fratelli. Egli aveva fatto aumentare il numero degli associati portando nuovi iscritti, fra i quali uno gli era particolarmente amico e, quindi, assai affezionato. Alla prima domanda di associazione, infatti, mastro Antonio era stato accolto, senza troppo attendere, come era accaduto ad altri. Quell’anno, però una parte dei fratelli aveva deciso che si dovesse cambiare e, pubblicamente, aveva fatto circolare il nome di un fratello, più giovane del priore in carica, da candidare ed eleggere.


I sostenitori del priore in carica, chiedevano spiegazioni sul perché si dovesse cambiare, ma ne ottenevano risposte evasive, senza consistenza su fatti concreti o programmi futuri. Il priore era stato sempre all’altezza del suo compito, rinnovargli ancora la fiducia sembrava, non solo opportuno, bensì doveroso da parte di tutti. In modo particolare, anche se eletto fratello da poco, mastro Antonio si scaldava facilmente nelle discussioni di approccio fra i vari gruppi, formatisi per sondaggi di opinione fra le correnti. Egli era riconoscente al priore, si sentiva suo amico, lo stimava e voleva che fosse rieletto. E spesso, perdendo la calma, prese a minacciare.

- Vedrete cosa succederà, la sera delle votazioni! Farò un discorso che chiuderà la bocca a tutti!... –

Gli altri fratelli si chiedevano, spettegolando l’uno con l’altro, con una punta di malignità:

- Come farà a parlare in italiano, dal momento che si esprime sempre e soltanto in dialetto?... –

Infatti, mastro Antonio sapeva appena firmare e compitare qualche frase quando scriveva al figlio in armi su di un incrociatore della Regia Marina.

In breve, perciò, i fratelli incominciarono a punzecchiarlo: i pizzitani, anche se indossano una tunica di congrega religiosa, restano ugualmente sfottenti per natura e di spirito caustico! Soprattutto, essi lo sfidavano a parlare in italiano nella prossima assemblea, così come sapevano fare in tanti, almeno tutti coloro che avevano superato l’esame finale e conseguito la licenza di quinta elementare, dedicandosi a buone letture.

Mastro Antonio rimbeccava, sostenendo che il suo discorso lo avrebbe tenuto in perfetto italiano: parlare in dialetto tutti i giorni era una necessità, ma in qualche circostanza, senza indicare quando e dove, egli aveva già saputo esprimersi bene nella lingua nazionale. Lo diceva soltanto; però, in cuor suo temeva l’approssimarsi del momento in cui, senza potersi più tirare indietro, avrebbe dovuto chiedere la parola alla presenza di tutti i fratelli.

E giunse quella sera, alfine! Per lui sarebbe finito un incubo, sorto dall’affetto e dalla stima verso un amico, alimentato anche da un nobile senso della gratitudine.

Quando l’assemblea fu riunita, mastro Antonio si alzò subito per ottenere la parola, prima di ogni altro, al fine di bloccare la proposta, già minacciata, della presentazione di altre candidature. Tutti accondiscesero a farlo parlare, dopo che il priore aveva finito la relazione dettagliata della gestione dell’anno scaduto.

Mastro Antonio le levò, lentamente e, con studiata flemma, girò intorno lo sguardo, fissando uno ad uno tutti i presenti, quasi in atto di sfida. Poi, tradendo l’emozione che lo tormentava e protendendo il braccio destro, come un novello Cicerone, verso il candidato che si proponeva di scalzare il suo amico, proruppe in un italiano abbondantemente inquinato di dialetto:

- Io direbbi che le così restassero come sogno! Ma se voi voleti sàgliere sagliate!... – e si sedette di colpo, rosso in faccia e imperlato di sudore, tradendo un leggero tremito nelle mani dovuto alla tensione nervosa che si scaricava, dopo tanti giorni di accumulo.

Uno scoppio di ilarità fece seguito a quelle parole: Ridevano tutti di cuore, prete compreso, qualcuno sino alle lacrime.

Quell’inusitata oratoria, quel singolare modo di esprimersi da parte di mastro Antonio aveva sbloccato l’atmosfera di curiosa attesa, mista da un po’ di tensione, pochi attimi prima così facile a cogliersi nella sala.

Il candidato che voleva scalzare il priore amico di mastro Antonio ritirò subito la propria candidatura, dichiarando:

- Si, hai ragione! È meglio che le cose restino come sono. Io non voglio “salire” a nessuna carica. Evviva il priore!... –

Fu un’elezione storica. Il vecchio priore riebbe la carica con tutti i voti dei presenti, il suo compreso, grazie alla sortita dell’improvvisato “tribuno”, sgrammaticato, pasticcione, ma indubbiamente efficace!
   



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