di Antonello Caporale
da Il Fatto Quotidiano del 16 settembre 2012
Viaggio dalla Campania alla Puglia, trionfo dell’energia
alternativa che ha conquistato tutto il Sud. L’affare di questo inizio di
secolo, a favore di pochi intimi
Candela
è un paesino che lega la Campania alla Puglia. I viaggiatori diretti a Bari lo
incontrano alla sommità dell’Appennino, finita la salita dell’Irpinia
d’Oriente. Spalanca gli occhi alla Daunia, li dirige sugli ettari di grano del
Tavoliere, verso Foggia. A Candela nessuno pensava fino a vent’anni fa che il
vento si potesse anche vendere. Il vento qui ha sempre fatto solo il suo
mestiere: soffiare. Soffia quasi sempre, anche duemila ore all’anno. Contano le
ore coloro che fanno quattrini col vento. Con un anemometro, un’asta lunga, una
specie di ago d’acciaio diretto al cielo, si può conoscere se è buono o
cattivo, forte o debole. Se soffia come si deve o se fa i capricci. Se è utile
a far fare quattrini, dunque.
Arrivarono
le aste e con loro particolari personaggi che organizzavano il mercato del
vento. Sviluppatori si chiamavano. Sviluppavano il territorio, certo. Gli
agricoltori di Candela ne furono lieti, anche il sindaco e tutta
l’amministrazione comunale. C’era la possibilità di ottenere qualche migliaio
di euro dalla società che avrebbe innalzato le pale eoliche. E soldi per fare
una bella festa patronale per esempio e far venire (altrove era già successo) i
cantanti di X Factor finalmente! E anche sostenere la squadra di calcio: divise
nuove per tutti!
Pure
belle sono le pale. Se le vedi da lontano sembrano rosoni d’acciaio o
margherite giganti, dipende dai tuoi occhi, da dove le miri. Fanno la loro
figura comunque. Ognuno degli abitanti del vento ha una sua immagine da offrire
al pubblico dibattito. A un sindaco del Tarantino, per esempio, parevano simili
a mulini a vento: “Abbiamo già il mare e avremo i mulini, delle possibili
attrazioni per il nostro territorio sempre danneggiato, vilipeso dal nord”.
Le
pale eoliche messe una accanto all’altra formano, come ha sempre spiegato
Legambiente, un parco eolico. La parola parco dice tutto: significa ambiente
tutelato, prati verdi, cielo azzurro, aria pulita. Finalmente il sud non
avrebbe insozzato l’aria, anzi l’avrebbe trattenuta e gestita nel miglior modo
possibile. Così a Rocchetta Sant’Antonio iniziarono a mettere le pale che pian
piano giunsero fino a Candela, poi si volsero verso Monteverde e Lacedonia,
paesi limitrofi. Puntarono in direzione di Foggia, cinsero Sant’Agata di Puglia
come un pugno stringe una rosa, s’incamminarono verso Lesina, verso il mare
dell’Adriatico.
Pale,
pale, pale. Un alluvione di pale che ha conquistato tutto il sud. Loro in cima
alle montagne, i pannelli fotovoltaici in terra. Creste d’acciaio in aria, e in
basso silicio al posto degli ulivi, come in Salento, silicio invece degli
agrumi, come in Calabria. Silicio e non pomodori, o vitigni, o alberi. Silicio
in nome dell’energia sostenibile, del Protocollo di Kyoto, delle attività
ecocompatibili. In nome del futuro dell’uomo. Conviene dunque partire da qui,
dall’Irpinia d’Oriente, epicentro del vento, per illustrare il più
straordinario, galattico affare di questo inizio secolo. Per domandare come sia
stato possibile costruire una fabbrica di quattrini per pochi intimi, un giro
d’affari che nel 2020 toccherà punte multimiliardarie, deviando nelle casse
pubbliche qualche spicciolo. L’equivalente di un’elemosina. Come sia potuto
accadere che un tesoro collettivo inesauribile è stato ceduto ai privati. Che
non una pala, una!, sia veramente e totalmente pubblica. Per volere di chi,
grazie a complicità di quali menti, di quali mani, di quali occhi? E in ragione
di quale bene comune il bilancio statale ha immaginato di destinare, per
sostenere il ciclo vitale dello sviluppo delle rinnovabili, un monte di soldi
che, in una puntuale, analitica interrogazione parlamentare al ministro dello
Sviluppo economico e a quello dell’Ambiente, la radicale Elisabetta Zamparutti,
unica curiosa tra le centinaia di colleghi silenti, stima in circa 230 miliardi
di euro. Solo quest’anno, nel tempo feroce della spending review che taglia
ospedali e trasporti, trasforma in invisibili gli operai, taglia commesse e
finanziamenti e con loro cancella la vita precaria dei precari, si dovranno
accantonare altri dieci miliardi di euro da investire nello sviluppo delle
fonti energetiche rinnovabili, le cosiddette Fer. Dieci miliardi! Uno sforzo
titanico a cui gli italiani sono chiamati a partecipare versando l’obolo in
rate bimestrali attraverso un sovrappiù della bolletta elettrica. Si chiamano
incentivi. Erano i famigerati certificati verdi sterilizzati da nuove norme, le
cosiddette “aste”. E non ha importanza che la soglia di rinnovabile elettrica
sia stata raggiunta impetuosamente con otto anni di anticipo.
Candela
accoglie i viaggiatori nel grande
piazzalediunastazionedirifornimentodicarburante. Il vento spazza l’asfalto. La
sosta è obbligata per i bus che collegano l’est con l’ovest del Mezzogiorno.
Arrivano le corriere da Napoli. Chi vuole andare a Foggia non conta infatti sul
treno, sarebbe una via crucis. Perciò il bus. Il viaggiatore può attenderlo nel
bar di antico sapore bulgaro. Una stradina lo costeggia e ci conduce verso
Rocchetta Sant’Antonio, sulla linea di confine pugliese. Superata la prima
curva, l’orizzonte si fa d’acciaio. Una foresta di tubi e di pale, l’una dietro
l’altra a recinto dei crinali delle montagne. L’orizzonte è tagliato dalle
eliche, sembra che la terra possa decollare e tutti noi puntare da un momento
all’altro verso il paradiso. “I contadini hanno fittato agli imprenditori del
vento e si sono rifugiati altrove – dice Enzo Cripezzi, presidente della Lipu
Puglia e uno dei maggiori indagatori del fenomeno eolico – Hanno messo in tasca
i pochi quattrini, una somma comunque incomparabile rispetto al reddito
miserabile dell’agricoltura, e hanno scelto l’abbandono. Sono fuggiti col
teso-retto, felici finalmente”. Verso Rocchetta troviamo a far compagnia alle
torri una poiana, rapace autoctono, che tenta di fare spuntino con una
lucertola e poi compare più in là un biancone. Sono uccelli migratori, profondi
conoscitori delle correnti del vento. Vivono grazie ai vortici depressionari
che d’estate li conducono in Italia, in Spagna, nei territori caldi dell’Europa
e l’inverno li riportano in Africa dove attendono il nuovo viaggio. Il
biancone, della larga famiglia delle aquile, conosce così bene le correnti da
superarle aggirando il Mediterraneo, prendendolo ai fianchi: costa ligure,
costa azzurra, costa brava, stretto di Gibilterra, infine Marocco. Fanno fatica
a superare l’acqua e questi uccelli migratori sono simili – in quanto a viaggi
della speranza – agli uomini migranti. Gli umani muoiono sui barconi, gli
animali in aria se il loro corpo non resiste alla fatica che la natura impone.
Fino a ieri il pericolo era il canale di Sicilia, superato il quale
veleggiavano verso la salvezza. Adesso no, le eliche li
confondonoeliannientano.Inibbireali,lecicognenere, specie protetta e rara,
possono incappare nelle turbine, ferirsi e morire. Così i falchi, le poiane, e
ogni uccello che tenti di attraversare l’Appennino. Effetti collaterali minori,
si dirà. E qual è l’effetto visivo, l’impatto ambientale, la forza prepotente e
magica di questi spuntoni di roccia che affiorano sui pendii descritti da
Gabriele Salvatores nel film Io non ho paura?. “La natura non aveva
preventivato le pale eoliche – dice Cripezzi – Guardare oggi questo panorama e
compararlo con quello di ieri fa venire un’enorme tristezza, un dolore profondo
e rabbia”. La stradina si confonde al vecchio tratturo e punta su Monteverde.
Il paese che guarda le pale. 850 abitanti, solo un anziano sulla panchina: “A
me fanno venire le vertigini. Allora piglio una pasticca e tutto passa”.
DECIDONO
LE REGIONI
Non
si può dire no al petrolio e affossare l’eolico e il fotovoltaico, certo. Ma si
poteva, anzi si doveva gestire il territorio, dividerlo per caratura
paesaggistica,garantireallepaleunluogoealpaesaggio la sua identità. Scegliere
dove metterle, e come. Preservare il possibile e il giusto. Invece? Invece la
legge nazionale delega alle regioni. Lo sviluppo dell’energia è questione loro.
E il paesaggio tutelato dalla Costituzione? Problema locale. Le Regioni anziché
fare un piano regolatore dei venti e delle pale e promuovere partecipazioni
pubbliche allo sviluppo dell’energia pulita, rendendo bene comune, esattamente
come l’acqua, il vento e il sole, privatizzano progetti e attuatori. Tutto
demandato agli uffici del Via, microscopici controllori della legalità e del
paesaggio che col tempo fungono da predellino delle
lobbies.“L’Europacivieta,perlenormesullaconcorrenza, di prendere parte
all’impresa”. Un leit motiv non soltanto falso, ma irriconoscente della realtà:
non era vero, né poteva esserlo. Ma era comodo dirlo. Pensate che la signora
Renata Polverini, presidente della Regione Lazio, nel primo semestre di
quest’anno ha prodotto circa 230 nomine tra consulenti e consiglieri di
amministrazione nelle più diverse e bizzarre diversificazioni merceologiche
dell’intervento pubblico. Manca solo l’azienda regionale per la promozione del
cioccolato bianco. Tutto si può e tutto si fa, ma
l’energianonèunbenepubblico,elosfruttamento delle risorse naturali non è
questione collettiva. Ricordiamo le parole di sintesi – a proposito della
discussione sulla misura degli incentivi da dare ai privati – di Gianfranco
Micciché, viceministro al tempo del governo Berlusconi, noto a tutti per le sue
battaglie ambientaliste: “Chi tocca il fotovoltaico si propone di far cadere il
governo”. E così i raggi del sole si sono trasformati in infiltrazioni private
sulla terra. Affari della Sanyo, come a Torre Santa Susanna, in provincia di
Brindisi . Decine di ettari di terreno confiscati all’agricoltura sui quali
sono stati riposti 33mila moduli solari per farne l’impianto tra i più grandi
d’Europa. Finanziamento tedesco e tecnologia giapponese. “Vorrei esprimere le
nostre sincere congratulazioni per il completamento di questo progetto e
ringraziare Deutsche Bank per averci dato fiducia nella scelta dei nostri moduli
solari”, commentòMisturuHomma,executivevicePresident di Sanyo. Giusto. Il sole
è italiano, ma non conta, non vale. Non si vende. Si regala. Come pure i
terreni. Pochi quattrini e affare fatto. Oggi il ministro dell’Agricoltura,
l’unico sensibile al consumo del suolo, propone una moratoria uno stop al
consumo del suolo. Il governo ha appena licenziato il disegno di legge. Catania
non è stato certo aiutato dal collega dell’Ambiente, il prode Clini. Clini non
sa o non ricorda che in Italia esistono circa 13 milioni di abitazioni
costruite dopo il 1970, quindi senza particolare tutele. Sui tetti i pannelli e
gli ulivi per terra: era più naturale e forse possibile? Possibile senz’altro
ma troppo dispendioso per i privati: molto più facile tombare di silicio centinaia
di ettari di terreno. Molto più veloce e produttivo.
Sono
stati cementificati 750mila ettari di territorio solo nell’ultimo decennio. Una
parte poteva essere destinata ad ospitare i pannelli? Macché, troppo
complicato. Via col vento e col sole dunque. E via con le imprese.
Il
Mezzogiorno è stato spartito in spicchi
d’influenza.Adalcuneaziendemonopolistesonostati affidati i lucchetti: la
Fortore Energia ha cinto la Puglia, l’Ipvc la Campania, Moncada la Sicilia. In
Calabria molte srl, alcune delle quali facenti capo indirettamente alle
famiglie più importanti della ‘ndrangheta. La Piana lametina e il Crotonese
sono stati assoggettati all’illegalità più clamorosa, plateale. Non c’è pala
messa che non sia stata accompagnata da un’inchiesta giudiziaria. Truffa,
corruzione, falso. Il trittico dei reati tipici, la serializzazione
dell’attività giudiziaria. Energia pulita per mani sporche. Non tutte sporche,
naturalmente. E non tutti imprenditori affaristi, naturalmente. Ma di certo
tutti hanno goduto di una deregulation mai vista, incredibile solo a pensarci.
Edison,
Sorgenia, Green Power, Sanyo e poi olandesi, spagnoli, cinesi. Tutti nel
business. Solo privati però, sempre privati. Lo Stato non ha partecipato in
nessuna forma, e gli enti locali neanche per sogno hanno accompagnato lo
sviluppo eolico con una loro presenza, magari anche minoritaria, nelle società
di produzione. In Puglia la fabbricaideologicadiNichiVendola,secondocui
l’energia, per il solo fatto di essere rinnovabile e pulita fosse obbligatoriamente
da catalogarsi a sinistra, ha permesso a essa di straripare. A nord della
regione le pale, a sud i pannelli. Nichi ha chiuso la stalla quando i buoi
erano già tutti scappati. La Campania è stata comprata come detto dal signor
Vigorito, capo dell’Ipvc, pioniere del vento. Acclamato presidente dell’Anev,
l’associazione degli industriali del vento. Associazione “ambientalista”
secondo i protocolli in uso per i tavoli del ministero dell’Ambiente. Una
benemerita. Nel 2005 Legambiente e Anev hanno sottoscritto un protocollo
d’intesa con lo scopo di promuoverel’eolicoinItalia.“Insiemeorganizzanoe
collaborano”, scrive il sito ufficiale degli imprenditori. Purtroppo nel 2009
il presidente dell’Anev, questa titolata associazione ambientalista, viene
arrestato. La Guardia di Finanza sequestra sette “parchi” eolici in diverse
regioni e accusa Vigorito…
Era
ieri. Torniamo all’oggi. Al 2011 sono state installate 5500 torri eoliche per
quasi settemila megawatt di potenza installata. Altrettante sono in arrivo.
Tutte concesse a tempo di record. E chi vorrà dedicarsi alla coltivazione del
mini eolico (torri alte anche cento metri fino a 1 megawatt) non dovrà neanche
attendere la firma: basta la dichiarazionediinizioattività.Saràzeppodiacciaio
anche ciò che ora è libero da impianti. Anche le vostre montagne e i vostri
occhi dovranno abituarsi. Serve energia pulita. E che nessuno fiati.
Si dice che a Scandale saremo circondati
RispondiEliminada un sacco di pale eoliche ?
Qualcuno sà qulacosa ?
SI, SI PARLA IN PAESE DI UN PARCO EOLICO DI ADDIRITTURA 92 PALE, SARà VERO???
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