martedì 22 novembre 2011

Il Presidente dell'UNLA intervistato da Greenreport

Il presidente Unla: «Necessario aggiornare la
stessa definizione di "analfabeta"»


Luca Aterini
L'Unione nazionale per la lotta contro l'analfabetismo, ente morale dedito a promuovere
«l'educazione e la formazione lungo tutto l'arco della vita, lo sviluppo dell'uomo come persona e la
sua attiva partecipazione alla vita sociale», nasce in Italia nel 1947 in un'Italia dell'immediato
dopoguerra non solo dilaniata dalle bombe, ma piagata da un analfabetismo e semianalfabetismo
ancora largamente diffuso, soprattutto nelle regioni del sud.
Una ferita che non si è ancora completamente rimarginata. Come è possibile leggere direttamente
sul sito dell'Unla, «secondo i più recenti dati ISTAT (2003) su circa 57 milioni di Italiani poco più di 3.500.000 sono forniti di laurea,
14.000.000 di titolo medio superiore, 16.500.000 di scuola media e ben 22.500.000 sono privi di titoli di studio o possiedono, al massimo,
la licenza elementare. In percentuale 39,2% dei nostri concittadini sono fuori della Costituzione che, come si sa, prevede l'obbligo del
possesso di almeno otto anni di scolarità».
La missione principale dell'Unla, che è volta ancora oggi ad «aggredire la dura realtà del diffuso semianalfabetismo esistente nel Paese»,
si dipana in un momento storico del Paese in cui l'attenzione verso il ruolo sociale della cultura viene solitamente denigrato, proprio
quando le sfide - in primo luogo quelle poste dalla sostenibilità da raggiungere - di un mondo globalizzato e sempre più complesso
richiederebbero invece un'attenzione ben più marcata e consapevole verso questi temi. Greenreport.it interroga in merito il presidente
dell'Unla, On.le Vitaliano Gemelli.

In un suo recente intervento, il prof. Saverio Avveduto parla di come gli "analfabeti effettivi" siano, in Italia, ‹‹da stimare a un
terzo della popolazione, e sfiorino i venti milioni›› : sembra incredibile anche da immaginare.
«La ricerca a cui ha fatto riferimento il prof. Avveduto risale a pochi anni fa, e fornisce una stima dell'analfabetismo ufficialmente esistente
assieme a quello cosiddetto "di ritorno", dati che noi abbiamo registrato come ente: vengono compresi quegli individui che non sanno né
leggere né scrivere, quelli che non hanno la licenza elementare come quelli che del loro percorso d'istruzione hanno dimenticato un po'
tutto.
D'altronde, sarebbe necessario aggiornare la stessa definizione di "analfabeta". Considerando soprattutto le forti pressioni provenienti da
un mondo globalizzato ed in continuo mutamento, se manchiamo di aggiornarci costantemente finiamo per rimanere tagliati fuori dalla
stessa società, che va avanti: in questo senso, lo studio deve continuare per tutta la vita, e non certo soltanto sottoforma di formazione
professionale, ma proprio per le esigenze dettate dal vivere insieme. Altrimenti, per fare un esempio, i giovani finiranno per considerare i
più anziani solo come un peso morto all'avanzare della società, e non avrà allora senso parlare di sussidiarietà o solidarietà tra
generazioni».
Ciò che certamente caratterizza il mondo contemporaneo rispetto ai tempi passati, anche recenti, è la sua accresciuta e
crescente complessità - che necessità di un bagaglio culturale adeguato per essere analizzata ed affrontata. Tale bagaglio, per
l'italiano medio, quali prospettive e speranze porta con se?
«Pur nelle condizioni di contingenza economica di questi anni, continuiamo a lavorare per realizzare non tanto e non solo una lotta
all'analfabetismo, ma per proseguire - com'è necessario - in un processo di educazione permanente, comprendente formazione ed
informazione, seguendo lo stampo dettato dall'Unione europea già da 25 anni.
Per quanto riguarda l'istruzione scolastica, necessiterebbe un aggiornamento non solo del corpo docente, ma anche delle stesse
strutture scolastiche. In Italia, comunque, molte cose si stanno muovendo per un arricchimento di tale bagaglio. Se è ampia la fetta degli analfabeti effettivi, quando si va a verificare singole situazioni, un miglioramento culturale rispetto al passato è sensibile: ad esempio, se
prima un operaio generalmente neanche sapeva interpretare la propria busta paga, adesso non è più così. Quello del miglioramento è
però un processo dove convogliano più fonti, non solo quelle dell'istruzione tradizionalmente intesa.
I media in particolare svolgono un ruolo determinante, hanno responsabilità straordinarie. Vengono spesso criticati, quando ad esempio
la tv offre spettacoli definiti trash, ma non si pensa che se l'offerta è di un certo tipo, significa che trova un corrispettivo nella domanda
degli spettatori. Il nodo sta dunque non tanto nell'intervenire sulla trasmissione, ma su chi l'ascolta, proponendo un'alternativa di valori e
principi, ricordando comunque di rispettare tutte le opinioni - che è già un sottolineare il valore della libertà di ognuno».
Se un terzo della popolazione italiana è classificabile come "analfabeta effettivo", come è possibile parlare di un cambiamento
culturale - quando di cultura non ce n'è - o veicolare un concetto estremamente complesso come quello della sostenibilità?
«Per raggiungere un tale obiettivo, rispettandone l'urgenza senza infrangersi nello scoglio dell'analfabetismo, più che veicolare concetti è
necessario veicolare comportamenti: poiché i termini scientifici non troverebbero risposta, solo così riesco a lasciare un'impronta anche
su colui che non comprende a pieno il perché e le implicazioni di un modo di fare e vivere insostenibile.
Se, ad esempio, venissero fornite al cittadino buste diverse per la raccolta differenziata, gli verrebbe data l'opportunità di seguire un
determinato comportamento, soddisfacendo il bisogno di procedere alla raccolta in un certo modo. E se, pur avendone gli strumenti, lo
stesso cittadino non procedesse alla raccolta differenziata, potrei comminargli una contravvenzione: così, anche se sul momento non
educo il cittadino, lo porto ad assumere un comportamento in linea con quanto necessario. Le norme ci sono, vanno soltanto applicate».
Rimane comunque un imperativo quello di incentivare la formazione di un humus culturale nel Paese. Quali le misure da
definire, e le azioni più urgenti da intraprendere?
«Certamente. In generale, per raggiungere questo obiettivo è necessario un cambiamento di mentalità che arrivi ad accettare come una
necessità l'accrescimento culturale, considerando anche che le caratteristiche del momento storico che stiamo vivendo parlano di come
la società adesso non si evolva più per periodi, come nel passato, ma attraverso un avanzamento continuo: ci sono comunque dei
momenti di sedimentazione, necessari al cittadino per assorbire il cambiamento, ma ora non sono più dilazionati nel lungo periodo, e ci si
trova a dover seguire il passo, se si vuole rimanere a pieno titolo all'interno della società stessa.
Per guidare questo rapido cambiamento serve una decisa e costante assunzione di responsabilità, da parte dei media come da parte
delle classi dirigenti presenti nella società (che non sono solo i politici, ma anche il capufficio, il responsabile della squadra dei netturbini,
il comandante dei vigili urbani...), ma soprattutto da parte del cittadino stesso: troppo spesso ci si deresponsabilizza delegando, ma le
istituzioni - che a loro volta devono riuscire ad offrirgli un adeguato ventaglio di possibilità - rimangono lo specchio del cittadino, che si
conferma la prima fonte di potere a costruire una democrazia».
Un apparente paradosso moderno vede contrapposte la carenza di cultura con l'accresciuta offerta di informazione, specialmente nei nuovi media. Questa condizione però, porta con se la conseguenza di rendere più difficile il discernimento tra
buona e cattiva informazione. Qual è il suo pensiero in merito?
«In effetti, questo paradosso è presente. Una formazione permanente del cittadino comporta sempre nuova informazione. La domanda
ruota attorno al come è necessario formularla, garantendo sempre e comunque la libertà d'informazione. È necessario incanalare
l'informazione in autostrade che siano regolate dai principi ed i valori che ci scegliamo come linee guida per vivere: questo potrebbe forse
supporre la creazione di gerarchie, anche nei nuovi media, ma questo non rappresenterebbe una limitazione della libertà d'informazione?
Il dibattito è intricato e sempre aperto, rispecchiando ancora una volta la complessità del mondo in cui siamo immersi.
Certo è che, soprattutto ai giovani, è necessario offrire adeguati strumenti interpretativi per navigare nel mare di quest'informazione
ridondante, ed anche le istituzioni come la scuola possono qui avere un loro ruolo, accompagnando la formazione di una capacità critica
d'analisi».

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