venerdì 4 luglio 2014

LA STORIA SIAMO NOI



LA STORIA
di Antonio Piccolo
La storia
da Scacchi e tarocchi (1985)

La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione,
nessuno si senta escluso.
5          La storia siamo noi,
            siamo noi queste onde nel mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da masticare[1].

E poi ti dicono: "Tutti sono uguali,
10        tutti rubano nella stessa maniera".
            Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa,
quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone
La storia entra dentro le stanze[2] e le brucia,
15        la storia dà torto e dà ragione[3].

La storia siamo noi,
siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere e tutto da perdere[4].

E poi la gente (perché è la gente che fa la storia),
20        quando si tratta di scegliere e di andare,
            te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare:
quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare
25        ed è per questo che la storia dà i brividi,
            perché nessuno la può fermare[5].

La storia siamo noi,
siamo noi padri e figli.
Siamo noi, bella ciao, che partiamo.
30        La storia non ha nascondigli,
            la storia non passa la mano.
La storia siamo noi,
siamo noi questo piatto di grano.

Un’apologia della storia.
Questa è la definizione che meglio sintetizza il significato di questa canzone, che si annoda su un messaggio, espresso all’inizio e più volte ribadito: “è la gente che fa la storia”. Una concezione illuministica contrapposta alla concezione antica e latina in particolare, secondo cui sono i grandi personaggi (Alessandro, Cesare, Augusto etc.) a fare la storia, che tra l’altro sarebbe “scienza del passato”. 
L’autore è chiaro ed esplicita fin dall’inizio il senso del brano, con un’anastrofe[6] efficace: “la storia siamo noi” (anziché “noi siamo la storia”). Ma necessariamente c’è un invito a fermarsi, perché De Gregori non sta affermando nulla di rivoluzionario e tale concezione idealistica, se da un lato dà importanza a tutti, dall’altro blocca decisamente ogni idea di autocompiacimento: noi siamo la storia, è vero, ma cos’è poi la storia? Un “prato di aghi sotto il cielo”, moltitudine informe e inerme al corso degli aventi. Ma non è una visione fatalistica della storia, visto che subito si canta che siamo anche “onde nel mare”, cioè movimento, parte influente in ciò che accade, anche se solo in parte (secondo la proporzione onde-mare). Siamo da un lato rumore nel silenzio (movimento) e dall’altro silenzio (stasi). Un silenzio difficile da comprendere nel profondo (“duro da masticare”) e, di conseguenza, anche da spiegare e “raccontare” agli altri. Nessuno deve sentirsi offeso, perché questo “noi” non è un soggetto parziale, non è una contrapposizione noi-voi: sta ad intendere “noi, genere umano” e (“attenzione”) nessuno deve sentirsi escluso, nel bene, ma anche nel male.
In questi pochi versi De Gregori non fa altro che riaffermare la concezione moderna della storia, vista come intreccio complesso di fenomeni e processi disparati, del quale l’uomo è protagonista, ma sempre come parte del tutto: “complice del suo destino”2, ma anche “figlio del suo tempo”[7]. Ecco forse una delle migliori definizioni mai scritte: “«Scienza degli uomini», abbiamo detto. È ancora troppo vago. Bisogna aggiungere: «degli uomini, nel tempo». Lo storico non pensa solo «umano». L’atmosfera in cui naturalmente il suo pensiero respira è la categoria della durata”[8]. 

Ecco che il brano, pur mantenendo il tono di una verosimile elegia alla storia soprattutto per effetto della melodia dolce, pare trasformarsi in più occasioni in una canzone-denuncia contro il qualunquismo e la banalità, prima di prendere una chiara svolta anti-revisionista. L’io lirico dà il tu ad un uomo qualunque, uno dei tanti aghi sotto il cielo, come a svegliarlo dalla propria incoscienza. Alle persone che dicono “tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera” viene dedicato un vago ed impersonale “ti dicono”, come a dire che non meritano d’essere menzionate con precisione, dove quell’ “e poi” sottolinea il sarcasmo. Un’accusa a quelli che non vogliono altro che farti chiudere in casa, farti rimanere chiuso nella tua caverna (mito platonico). Inutile, perché si può banalizzare la storia, evitarla, eluderla, ma tanto “nessuno la può fermare”, come canterà successivamente: la storia va oltre il portone ed entra, incendia le stanze della tua casa dove ti sei nascosto (dal vivo De Gregori canterà anche “le NOSTRE stanze”, ribadendo di non escludere nessuno, neanche se stesso). E una volta fatta irruzione ovunque, la storia emette sempre la propria sentenza inequivocabile, “dà torto e dà ragione”, alla faccia di chi vuole ignorarla. E si torna a ribadire che noi siamo la storia, anche in un’azione quotidiana come quella di scrivere, anche la gente comune che non indirizza gli eventi a proprio vantaggio: quelli che non posseggono niente e hanno “tutto da vincere”, quelli che, al contrario, potrebbero perdere tutto e poi la stragrande maggioranza che ha “tutto da vincere e tutto da perdere”, che subisce una vera sconfitta solo se non si mette in gioco. Un’incitazione a riappropriarsi del proprio ruolo nella storia, a svegliarsi dal buio nel quale qualcuno vuole farci soccombere: “la canzone La storia è una specie di inno alla nostra necessità di essere parte consapevole dei tempi che viviamo”[9].

Non si tratta di riuscire ad acquisire un ruolo nella storia, ma di essere consapevoli del ruolo che già si possiede, tant’è vero che la gente “quando si tratta di scegliere e di andare / te la ritrovi tutta con gli occhi aperti / che sanno benissimo cosa fare”. Una scelta pronta e sicura, in cui la cultura non è una discriminante, non importa quanti libri si sono letti. Una scelta che porta a delle conseguenze storiche comunque: consapevoli o meno, la storia “nessuno la può fermare”, va avanti con le sue conseguenze provocate da qualcosa o qualcuno di ben preciso, “è per questo che la storia dà i brividi”, ed è per questo che è ancora più necessaria una coscienza storica. Visto che De Gregori, quando si esibisce dal vivo, ha molto spesso sostituito al verbo “fermare” il verbo “cambiare”, teniamo conto di questa modifica. Il messaggio diventa ancora più esplicito: consapevoli o meno, la gente fa le sue scelte che modificano il corso degli eventi, che possono portare cose buone (libertà, uguaglianza), ma anche cose cattive (fascismo, nazismo, genocidi). Forse qualcuno potrà spiegare, qualcun altro giustificarsi, ma una cosa è certa: ci sono precisi meriti e precise colpe, la storia parla chiaro, “nessuno la può CAMBIARE”. C’è una linea di continuità con quanto espresso prima, cioè che “la storia dà torto e dà ragione”, solo che, mentre quella era un’affermazione, questa è una negazione espressa da quel “nessuno”. È un netto no al revisionismo sfrenato, messo ancora più in luce se si canta “nessuno la può NEGARE”, come fa De Gregori da un po’ di tempo a questa parte. Impressionante, in questo punto, la somiglianza con “La storia”[10], poesia di Eugenio Montale: “La storia non è prodotta / da chi la pensa e neppure / da chi la ignora”.

Un no al revisionismo sfrenato che sfocia in una riaffermazione della propria storia particolare, anche con una sfumatura meno universale e più precisamente italiana. Si passa dalla constatazione di una pericolosa inconsapevolezza all’intento di mutarla in consapevolezza: si passa, cioè, in maniera gramsciana, dal pessimismo della ragione all’ottimismo della volontà. “Continuo a pensare che l’ottimismo sia un dovere”[11] è una dichiarazione di De Gregori. Gli uomini sono figli del loro tempo, d’accordo, ma anche figli dei loro padri. Quando De Gregori canta “siamo noi padri e figli”, sintetizza in un’espressione un concetto fondamentale per lo storicismo: “l’attuale non è mai completamente spiegabile se non mediante il remoto; negarlo equivarrebbe a cadere in un errore analogo a quello del fisico” [12]. E questo voluto legame con il remoto è espresso da una citazione fatta in maniera stilisticamente formidabile, buttata lì, apparentemente a caso, nel filo del discorso: “siamo noi, bella ciao[13], che partiamo”. Un legame con un brano della musica popolare, nato come canto delle mondine lombarde, ma noto soprattutto per la versione partigiana. Un legame, quindi, con la Resistenza, l’antifascismo, la Costituzione del ‘48: un’efficace denuncia contro il neofascismo, meno approfondita ma non meno diretta di quella contenuta in Le storie di ieri[14]. Il brano si conclude riaffermando e sintetizzando tutto ciò che s’è espresso precedentemente: “la storia siamo noi” che decidiamo di partire, movimento come le “onde nel mare”; “non ha nascondigli”, ti entra fin “dentro le stanze e le brucia”; “non passa la mano”, non si può cambiare, emette la sua sentenza severa ed insindacabile, dando torto e ragione. E alla fine un’immagine che si lega con una circolarità perfetta alla prima (“siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo”): “la storia siamo noi / siamo noi questo piatto di grano”, cioè ciò che di più terreno c’è al mondo, una verità semplice e vitale. La storia siamo noi uomini: nulla di astratto o trascendentale.

Figure retoriche
“questo silenzio così duro da masticare” è un’anadiplosi, poiché riprende il “silenzio” posto alla fine del verso precedente (v.7).
“la storia”, “la storia siamo noi”, e “siamo noi” formano molte anafore. Con queste tre forme De Gregori esprime una geniale simmetria, probabilmente in modo inconsapevole. Infatti, l’espressione “la storia siamo noi” per intero ricorre sei volte. Le singole espressioni “la storia” e “siamo noi” separate ricorrono sette volte per una: è un modo sottile di trasmettere il leit-motiv del brano, ossia “la storia siamo noi”, sottolineando l’inscindibilità dei due concetti.
“la storia siamo noi” è un’anastrofe, poiché la normale successione logica della frase è “noi siamo la storia”, soggetto - predicato.
“questo rumore” - “questo silenzio”, “dà torto” - “dà ragione”, “tutto da vincere” - “tutto da perdere”, quelli che hanno letto milioni di libri” - “quelli che non sanno nemmeno parlare” sono delle antitesi.
“e poi ti dicono” e “te la ritrovi tutta con gli occhi aperti” sono due apostrofi, ma anche due premunizioni.
Ci sono cinque chiasmi:
la storia              siamo noi
siamo noi           questo prato di aghi sotto il cielo

la storia              siamo noi
siamo noi           queste onde nel mare

la storia              siamo noi
siamo noi           che scriviamo le lettere

la storia              siamo noi
siamo noi           padri e figli

la storia              siamo noi
siamo noi           questo piatto di grano

“la gente (…) che sanno benissimo cosa fare” è una costruzione ad sensum.
“quelli che hanno letto milioni di libri” e “quelli che non sanno nemmeno parlare” sono due iperboli.
Tutte le immagini e le azioni attribuite a “la storia” sono metafore allegoriche.

Il verso è libero e la distribuzione delle rime è irregolare. Di queste è frequente quella in “are” (mare-masticare-andare-fare-parlare-fermare); ci sono anche maniera-sera, portone-ragione, lettere-perdere, figli-nascondigli, mano-grano (che con “partiamo” fa una rima mancata). Offeso-escluso è una consonanza. Un altro fenomeno particolare è riconoscibile nell’allitterazione della s nelle due simili espressioni “nessuno si senta offeso” e “nessuno si senta escluso”.
 


[1] in Musica leggera (1990) e La valigia dell’attore (1997) canta “così duro da RACCONTARE”.
[2] in Il bandito e il campione (1993) canta “dentro le NOSTRE stanze”.
[3] in Il bandito e il campione (1993) canta “la storia dà torto O dà ragione”.
[4] in La valigia dell’attore (1997) canta “tutto da vincere O tutto da perdere”.
[5] in Musica leggera (1990), Il bandito e il campione (1993) e La valigia dell’attore (1997) canta “nessuno la può CAMBIARE”. In Nientedacapire (1990) canta “nessuno SE la può INVENTARE”. Nei concerti del 2005-2006 canta “nessuno la può NEGARE”.
[6] anastrofe: inversione di parole in una frase contro la normale successione logica.
[7] da Vai in Africa, Celestino! (F.De Gregori), in Pezzi (2005) di Francesco De Gregori.
[8] da “Apologia della storia (o Mestiere di storico)” di Marc Bloch, Einaudi, 1993.
[9] Francesco De Gregori, intervista a Radio Città Futura, dicembre 2003.
[10] contenuta in “Satura” (1971), raccolta di poesie di Eugenio Montale.
[11] da un’intervista di Michele Anselmi, “L’Unità”, 14 ottobre 1992.
[12] da “Apologia della storia (o Mestiere di storico)” di Marc Bloch, Einaudi, 1993.
[13] citazione da Bella ciao (Ernesto Esposito, Carlo Emanuele Ricordi), tradizionale della Resistenza.
[14] brano di Francesco De Gregori, contenuto in Rimmel (1975).

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