lunedì 14 luglio 2014

DAVID DONATO


David Donato (Feroleto Antico il 5 ottobre 1926 – Pizzo il 20 gennaio 2009) giornalista-poeta-scrittore e commediografo.  autore, al quale è stata intitolata la prima rassegna di teatro dialettale svoltasi a Scandale (KR) nell'estate 2013 .


 La Banda Comunale

Dalla raccolta “Carosello Pizzitano” (1979)

È invalsa l’abitudine di dire peste e corna del governo borbonico, ma non è giusto. Una rivalutazione dovuta a intelligenti rimeditazioni da parte di storici e di scrittori senza preconcetti, si è avuta di recente per mano di Alianello col romanzo «L’Alfiere» e di Cucentroli di Monteloro con «La difesa della fedelissima Civitella d...el Tronto», per cui posso affermare, in tutta tranquillità, che del buono vi fu durante il regno dei Borboni. Soltanto per pagare il prezzo imposto dall’unità d’Italia fu necessario abbatterne le strutture a favore del concorrente sabaudo, che seppe fare da catalizzatore a una situazione politica e, più ancora, a un’aspirazione che serpeggiava da secoli fra le genti della penisola. Ma non è una lezione di storia che voglio tenere, qui. Desidero, invece, parlarvi della banda comunale di Pizzo che proprio i Borboni vollero e incoraggiarono sempre, destinando alla nostra Città i migliori maestri-concertatori che uscivano dal famoso Conservatorio di San Pietro a Maiella. E bisogna aggiungere che il terreno per seminare solfeggio e strumentistica fu fertilissimo. I pizzitani dimostrarono attitudine e passione profonde per la musica, che recepirono subito e apprezzarono a lungo, sino oltre il mezzo secolo di questo nostro tempo, passando un lungo elenco di valenti maestri, quali Mugnone, Squillacioti, Di Leo, Ragusa, Belvedere, Guarino, Rosi. Questi prepararono generazioni di ottimi suonatori. Ricordarli tutti è impossibile. Tra i più vicini a noi: Bruno Perri, clarinetto, assunto dalla Banda della Regia Aeronautica; Luca Procopio, primo basso, assunto dalla Banda dei Carabinieri; Salvatore Trovato, il migliore bombardino d’Italia, disputato dai più grandi complessi bandistici nazionali; Franco Rosi, clarinetto, solista anche lui nelle migliori bande della penisola. E, poi, tutta una schiera di elementi di grande talento, fioriti anche a gruppi nelle famiglie Durante, De Matteo, Vallone, Romano, Raneli, Fragalà, Procopio, Ventura, Caridà, Francica, Rossa, Averta, Caprino, Galeano, Galastro, citate così, alla rinfusa, come vengono alla mia memoria e mi scuso se ne dimentico qualche altra.
Ai concerti preparatori, bisettimanali sin dal principio, prendevano parte tutti gli effettivi del corpo bandistico e i numerosi allievi. Questi ultimi, quando erano ritenuti maturi dal maestro, venivano lanciati, per tradizione, durante la festa di San  Giuseppe, il 19 marzo di ogni anno.
La popolazione, attenda alle vicende della sua banda, quel giorno d’apertura della stagione musicale, aspettava, con viva partecipazione, di notare quali e quanti nuovi elementi erano stati immessi fra gli effettivi. In tale modo si creavano dei ricambi, freschi e validi, per quanti anziani avessero lasciato o per quanti fossero stati scritturati da bande di altre regioni. Suonatori di Pizzo, infatti, sono andati ad infoltire le file di rinomati concerti come quelli di Roccasecca e di Lanciano, diretti in momenti diversi, dal più celebre maestro che Pizzo abbia mai dato alla musica bandistica, l’indimenticato e indimenticabile comm. Pietro Marincola, una vera personalità nazionale in questo campo.


Alla musica di davano uomini di ogni cento e bisogna dire che essa aveva una funzione educativa di enorme portata, poiché ingentiliva gli animi, affinava i gusti e apriva strade a proficuo lavoro. Ma ingentiliva e affinava, anche, gli animi e i gusti dei ceti più bassi della cittadinanza: pescatori, facchini, braccianti, poveri artigiani, quantunque analfabeti, imparavano a ripetere brani delle opere più famose, dall’Aida al Rigoletto, dalla Tosca alla Bohème, dalla cavalleria Rusticana ai Pagliacci. E con non poca competenza giudicavano le esecuzioni non solo della banda in blocco, bensì dei solisti. In poche parole, qui, in modo diverso, accadeva quanto accade tuttora, per via dei fanatici del loggione, al Teatro regio di Parma, ove si aprono o si negano carriere e fama ai più celebri tenori, soprani, baritoni e bassi del mondo della lirica.
Alle sovvenzioni governative borboniche, poi venute a mancare, Pizzo seppe sopperire, per lunghissimi ani, col proprio bilancio comunale, siccome prima che la ferrovia Reggio-Napoli la mettesse al tappeto era scalo marittimo di grande importanza nel basso Tirreno, dopo Napoli, Amalfi e Salerno. Navi di ogni tipo e tonnellaggio facevano la spola da ogni altro porto d’Italia per imbarcare e sbarcare passeggeri e prodotti di ogni genere nei grandi depositi che allora, Pizzo vantava per fronteggiare le necessità di un vasto «hinterland» che premeva attorno ad essa.
I commerci, fiorentissimi, facevano entrare cospicui profitti nelle casse comunali, per cui alla locale banda si potevano destinare sovvenzioni per lo stipendio del maestro e per una gratifica ai solisti. A tutti gli altri si pagava un premio per ogni serata di concerto tenuto nelle città e nei paesi, che richiedevano le prestazioni della banda in occasione di feste o altre solennità religiose e civili.
Il comune si accollava anche le spese per le divise invernali ed estive dei circa sessanta musicanti, per l’acquisto dei nuovi strumenti e delle partiture.
Sul finire del secolo scorso (1800, ndr), l’allora deputato Marcello Salomone volle dotare la nostra Città di un palco musicale fisso, che fu collocato in piazza Umberto I, in quel tempo detta del Commercio. Un’opera unica nell’Italia meridionale per concezione tecnica ed artistica, oltre che per la risonanza acustica, dovuta ad una cassa armonica in muratura e legno, concepita con grande maestria.
I leggii, con relativi sedili, tutti in ferro, erano foggiati a cavea; il palco era circondato da un’armonica ringhiera, anche essa in ferro, il tutto sormontato da un efficace impianto di illuminazione con lampioncini di ferro battuto, vere opere d’arte di un tempo che fu!
Durante la stagione estiva, da giugno a settembre, ogni sera di giovedì e di domenica, dalle ore 21 alle ore 24, la banda vi prendeva posto, allietando i pizzitani e i moltissimi forestieri, innamorati del nostro sole e del nostro mare, con uno scelto repertorio di musiche operistiche, sinfoniche e canzonieri, seguito con religioso silenzio da centinaia di persone in piedi o sedute ai tavoli dei numerosi bar, che già offrivano specialità in fatto di gelateria: sorbetti, spumoni, cremolate, granite di vario genere, confezionate con frutta di stagione, arte sopraffina che si tramanda di padre in figlio nelle dinastie dei Belvedere, Monteleone, Cuscinà Russo, Jannarelli, Raffaele, Di Jorgi.
Quella banda e quel palco hanno dato lustro alla Città in maniera ragguardevole, ignoto alla generazione del secondo dopoguerra, alla quale il palco non fu fatto arrivare, non già a causa delle bombe anglo-americane, ma perché si rinnovò, qui in Pizzo, quanto con una celebre pasquinata fu rimproverato al papa Urbano VIII: QUOD NON FACERUNT BARBARI, FECERUNT BARBERINI!
Il declino della nostra Città, lento ma inarrestabile, cominciò proprio da quel gratuito atto di vandalismo, a cui fece seguito l’abissale inettitudine di quanti si sono avvicendati alla guida della cosa pubblica.

 

David Donato

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