sabato 14 giugno 2014

LE STORIE DI IERI (non molto diverse da quelle...............)




Le storie di ieri

da Rimmel (1975)

 

Mio padre ha una storia comune[1],

condivisa1 dalla sua generazione,

la mascella al cortile parlava:

troppi morti lo hanno smentito[2],

5          tutta gente che aveva capito.

 

E il bambino nel cortile sta giocando:

tira sassi nel cielo e nel mare.

Ogni volta che colpisce una stella

chiude gli occhi e comincia[3] a sognare,

10        chiude gli occhi e comincia3 a volare.

 

E i cavalli a Salò sono morti di noia:

a giocare col nero perdi sempre.

Mussolini ha scritto anche poesie:

i poeti che brutte creature[4],

15        ogni volta che parlano è una truffa.

 

Ma mio padre è un ragazzo tranquillo,

la mattina legge molti giornali:

è convinto di avere delle idee

e suo figlio è una nave pirata

20        e suo figlio è una nave pirata.

 

E anche adesso è rimasta una scritta nera[5],

sopra il muro davanti casa mia:

dice che il Movimento vincerà:

i nuovi capi hanno facce serene[6]

25        e cravatte intonate[7] alla camicia.

 

Ma il bambino nel cortile si è fermato[8]:

si è stancato di seguire aquiloni[9].

Si è seduto tra i ricordi vicini e i rumori lontani:

guarda il muro e si guarda le mani,

30        guarda il muro e si guarda le mani,

guarda il muro e si guarda le mani[10].

 
ANTONIO PICCOLO

La canzone ha un’imbastitura metrica molto chiara, con cinque strofe di cinque versi più la ripetizione ulteriore dell’ultimo verso nella sesta ed ultima strofa, che fa sì che abbia sei versi. L’impostazione musicale, per cui con la quarta strofa si sale di un tono, fa sì che la canzone possa essere divisa in due parti. Divisione sottolineata anche dal testo, con la ripetizione dello stesso soggetto: “mio padre” nella prima strofa, “ma mio padre” nella quarta.

 

Un’efficace denuncia contro il neofascismo.“È una delle canzoni di De Gregori dal taglio più apertamente politico, anche se le strofe più schierate si danno il cambio con altre assai più evocative, puntando lo sguardo su un bambino che gioca in cortile”[11]. L’intero brano gioca su un’alternanza di soggetti tra il padre e il figlio, che sono figure simboliche dello ieri e dell’oggi e, sebbene De Gregori canti soprattutto alla prima persona singolare, si tratta di finzione autobiografica. Con il padre si parla del passato fascista, con il bambino si parla del presente minacciato dal neofascismo. Sono “storie di ieri” che si riflettono nell’oggi, analizzate con un evidenziato distacco storico, più che politico: benché l’io lirico dica “mio padre”, al momento di parlare di sé canta in terza persona de “il bambino”.

 

Prima di parlare del presente, è storicamente necessario raccontare e spiegare il passato, traendo le responsabilità storiche oggettive (“la storia dà torto e dà ragione”[12]). La lezione di De Felice è visibile fin dall’inizio: il fatto che la “storia comune” sia condivisa dall’intera “generazione” del padre - e non da un ristretto gruppo di persone - sottolinea un dato oggettivo, se non una condanna: il fascismo ebbe un’indiscutibile e pressoché totale base di consensi. “L’affermazione comunista che a quest’epoca la «borghesia italiana» era stretta attorno al fascismo è indubbiamente, come valutazione dell’atteggiamento dominante nella stragrande maggioranza sia dei ceti medi sia della borghesia vera e propria, da accettare in pieno”[13]. Una storia condivisa e portata avanti con entusiasmo e spontaneità, tant’è vero che la versione originale della canzone non parlava di “storia”, bensì di “sogno comune” (come testimoniato dalla versione inedita del ’74 e da quella pubblicata e cantata da De André nel suo Volume VIII). L’io lirico, che spesso viene sostituito dal narratore onnisciente, emette il proprio giudizio nella stessa rappresentazione della vicenda, con l’uso di due sineddoche[14] : non si dice che “al cortile parlava” Mussolini, bensì “la mascella”, il tratto caratteristico e più banalmente pittoresco del duce; inoltre, si abbassa il valore delle folle oceaniche che riempivano le piazze, raccontando che non parlava al popolo o alla piazza, bensì “al cortile”. Chi sono poi i morti che lo hanno “smentito”? Il verbo “smentire” farebbe pensare ad un’azione cosciente e voluta, come è stata quella dei partigiani, da“tutta gente che aveva capito” quale erano. Eppure, il fatto che nella versione originale De Gregori abbia scritto “troppi morti lo hanno TRADITO” ci fa pensare ad altro: il sogno, Mussolini e il padre sono stati traditi da tutta la gente morta, chi per la follia suicida della guerra, chi per il terrore illiberale: morti che nella loro moltitudine costituiscono ironicamente “tutta gente che aveva capito” e invece non aveva capito nulla.

 

Cosa fa il bambino, cosa fanno oggi i piccoli italiani della Repubblica antifascista? Giocano in mezzo alla natura, sognano, volano, addirittura. Forse, vittime di una coscienza storica precaria e di una cultura antifascista non sentita nel profondo, vivono nella più totale inconsapevolezza, dimentichi degli orrori del ventennio. E, nel frattempo, gli eredi del fascismo si rinnovano, hanno capito che riproporre l’ideologia alla vecchia maniera non serve a nulla, che “a giocare col nero perdi sempre” (splendida ironia con l’allusione al gioco degli scacchi). I cavalli di Salò “sono morti di noia” nel fare i vecchi fascisti duri e puri, vanno rivestiti ed abbelliti agli occhi della gente, imparano ad usare “facce serene” (come canterà nella quinta strofa) e a riproporre anche il vecchio tiranno con un aspetto nuovo: “Mussolini ha scritto anche poesie”. Perché poi “i cavalli”? Forse perché è l’animale che incarna di più, nell’immaginario comune, l’epopea eroica e trionfale che il fascismo aveva fatto propria? Comunque, non c’è niente da fare: l’io lirico, che si sdoppia da bambino protagonista a narratore onnisciente, emette ancora una condanna, più emotiva che storica stavolta, come testimonia il sarcasmo dei versi 14-15: se Mussolini era un poeta, vuol dire che “i poeti” sono proprio delle “brutte creature” e, comunque, sono dei truffatori (ritorna il concetto: “lo hanno smentito”).

 


Intanto, cresce la consapevolezza del figlio, che guarda al padre (cioè alla generazione precedente), che è un classico “ragazzo tranquillo” di cultura democristiana, che non si scompone né si avvede di chi torna a ribadire i concetti del vecchio fascismo. Ma, soprattutto, non si avvede di essere vittima di un nuovo fascismo incalzante, che non impone le idee in maniera autoritaria, ma fa sì che queste vengano accettate in maniera totale ed incondizionata dai cittadini stessi, attraverso i mass media, per esempio. Così, il padre “è convinto di avere delle idee” perché “legge molti giornali” e non capisce che, in realtà, gliele stanno imprimendo dall’alto. È lo stesso concetto espresso proprio in quegli anni da Pasolini sulla televisione, dicendo che “nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi”[15]. Il figlio, parziale espressione della nuova generazione, invece è sveglio, si rende conto di questo fascismo mascherato: non è un ragazzo tranquillo in quanto fuori dai canoni imposti dal Centro e, per questo, “è una nave pirata”.

 

Infatti, la quinta strofa è un chiaro discorso in prima persona del bambino. Vede una scritta che inneggia al Movimento Sociale[16] sul muro di fronte casa sua, cioè nelle immediate vicinanze, come a dire che la minaccia è concreta e tangibile. È diventato consapevole delle “storie di ieri”, tant’è vero che si stupisce: “e anche adesso è rimasta una scritta nera”. E riesce anche a cogliere quel cambio dei cavalli di Salò, che avevano capito che “a giocare col nero”, cioè con il fascismo vecchio stile, si perde sempre. I vecchi fascisti sono diventati politicamente astuti e si rivestono di una finta patina di liberalità e democrazia, solo esteticamente: “i nuovi capi hanno facce serene / e cravatte intonate alla camicia”. È un De Gregori non solo amaramente sarcastico, ma anche insolitamente chiaro: il riferimento a Giorgio Almirante[17] e alla sua squadra è praticamente ovvio e avvalorato dal fatto che nella versione inedita del ’74 canta espressamente “Almirante ha la faccia serena”, mentre De André canta “il gran capo ha la faccia serena”.

 

Adesso basta giocare, “il bambino nel cortile si è fermato”. Ha conquistato la consapevolezza della minaccia neofascista, del pericolo della perdita di memoria storica che è gia in atto. È finito il tempo di sognare ed è arrivato quello di svegliarsi e agire. Una fase di passaggio vissuta in un luogo ideale fra il neofascismo che ha appena visto sul muro di fronte casa sua (“ricordi vicini”) e il vecchio fascismo del ventennio (“rumori lontani”), splendidamente sottolineata da una rule changing creativity[18]: “si è seduto tra i ricordi vicini e i rumori lontani”. L’azione necessaria è anche consequenziale: “guarda il muro” con quell’orribile scritta che “dice che il Movimento vincerà” e, subito dopo, “si guarda le mani”. È ora di usarle  per riaffermare la propria identità antifascista, con i valori della Resistenza e della Costituzione del ‘48: una costante della “poetica storica” di De Gregori e un fondamento della sua formazione. “Auguriamoci che l’antifascismo (il rifiuto ideale e culturale, non solo storico, del fascismo) si articoli sempre più spesso nelle problematiche di oggi, nel rifiuto della violenza, nell’accettazione del diverso, nei grandi e non banali, né retorici temi dell’organizzazione della fratellanza e dell’invenzione del futuro. Solo se si incarna nelle pratiche quotidiane di tutti gli uomini, a destra come a sinistra, l’antifascismo può diventare arnese politico e non repertorio storiografico”[19].

 

Figure retoriche

“e i cavalli a Salò” e “a giocare col nero perdi sempre” sono due allusioni.

“chiude gli occhi e comincia a sognare” e “chiude gli occhi e comincia a volare”, le due ripetizioni di “e suo figlio è una nave pirata”, le tre ripetizioni di “guarda il muro e si guarda le mani” sono anafore.

 “ogni volta che colpisce una stella”  e “sono morti di noia” sono due iperboli.

“chiude gli occhi e comincia a volare” è una metafora allegorica.

 “e suo figlio è una nave pirata” è una metafora analogica.

“la mascella” e “al cortile” sono due sineddoche. 

 

Ci sono poche rime: smentito-capito, mare-sognare-volare e una interna, fermato-stancato. Da notare una consonanza: aquiloni-lontani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




[1] nella versione inedita del ’74 dello stesso De Gregori e nella versione di Fabrizio De André contenuta in Volume VIII (1974) cantano “mio padre AVEVA UN SOGNO comune / CONDIVISO dalla sua generazione”.
[2] nella versione inedita e nella versione di De André cantano “troppi morti lo hanno TRADITO”.
[3] in Volume VIII, De André canta “chiude gli occhi e SI METTE a sognare / chiude gli occhi e SI METTE a volare”.
[4] nella versione inedita, De Gregori canta “AH, i poeti che STRANE creature”. In Volume VIII, De André canta “i poeti che STRANE creature”.
[5] nella versione inedita, De Gregori non canta “nera”, ma semplicemente “è rimasta una scritta”.
[6] nella versione inedita, De Gregori canta “ALMIRANTE HA LA FACCIA SERENA”. In Volume VIII, De André canta “IL GRAN CAPO HA LA FACCIA SERENA”.
[7] nella versione inedita e nella versione di De André cantano “LA CRAVATTA INTONATA alla camicia”.
[8] nella versione inedita, De Gregori canta “ma il bambino nel cortile si è STANCATO”.
[9] nella versione inedita e nella versione di De André cantano “si è stancato di seguire GLI aquiloni”.
[10] nella versione inedita, De Gregori non canta il v.31.
[11] da “Francesco De Gregori. Quello che non so, lo so cantare” di Enrico Deregibus, Giunti, 2003.
[12] da La storia (F.De Gregori), in Scacchi e tarocchi (1985).
[13] da “Mussolini il duce, vol.I, Gli anni del consenso 1929-1936” di Renzo De Felice, Einaudi, 1974.
[14] sineddoche: si verifica quando un termine è usato per significarne un altro più ampio e più specifico.
[15] dall’articolo “Sfida ai dirigenti della televisione” di Pier Paolo Pasolini, “Corriere della Sera”, 9 dicembre 1973.
[16] il Movimento Sociale Italiano è un partito d’ispirazione fascista nato nel 1946 ad opera di reduci della Repubblica Sociale di Salò ed ex esponenti del regime fascista. Nel 1993, con la “svolta di Fiuggi”, cambia nome in Alleanza Nazionale.
[17] Giorgio Almirante fu redattore de “Il giornale della razza” durante il ventennio, firmò permessi per le fucilazioni della Repubblica di Salò, fu poi tra i fondatori dell’MSI nonché suo segretario in più periodi fino al 1987, quando fu sostituito - per suo volere - da Gianfranco Fini.
[18] rule changing creativity: si basa sulla bisociazione (associazione divergente). Questa consiste nell’introduzione di un elemento (coro, persona, situazione, parola astratta) in conflitto col termine cui è legata, ma dalla cui unione emerge un particolare messaggio comunicativo. (da “Aspetti di una teoria del linguaggio” di Noam Chomsky, Boringhieri, 1965).
[19] dall’articolo “Una settimana da non dimenticare” di Francesco De Gregori, “L’Unità”, 29 aprile 1995.

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